Quante volte abbiamo sentito la frase “No alla violenza sulle donne”? 

Beh, in realtà il concetto di violenza è ben più ampio di quanto si possa credere. Infatti, per atto di violenza non si intende solo uno schiaffo o un calcio, ma anche molto altro e per questo ho preparato un piccolo approfondimento. Buona lettura!

Come scritto in precedenza, la violenza può essere di varie tipologie, tra cui fisica e psicologica.

Mediamente il 35% delle donne nel mondo ha subito violenza almeno una volta nella propria vita.

Le cause di questo fenomeno sono molte, tra esse le principali sono: il basso livello d’istruzione, l’assoggettamento a violenze durante l’infanzia, la visione di violenze all’interno del nucleo familiare, l’abuso di alcool e l’accettazione della violenza come un valore culturale.

Al contrario, le conseguenze possono suddividersi in due categorie: fisiche e psichiche. Le prime possono comprendere omicidio (da parte dell’aggressore) o suicidio (da parte della donna), atti di autolesionismo, gravidanze indesiderate e aborti indotti. D’altra parte quelle psichiche possono essere depressione, disordini da stress post traumatico, disturbi alimentari, disturbi del sonno e tendenze suicide.

Andando più nel dettaglio, cos’è, esattamente, la violenza psicologica sulle donne?

Uno studioso di nome Hirigoyen, ha risposto a tale quesito con due fasi: la fase di seduzione perversa e la fase di violenza palese. Nella prima l’aggressore si concentra sulla destabilizzazione, sulla perdita di fiducia in se stessa, sulla manipolazione e sul controllo mentale della sua vittima. Durante la seconda fase, invece, prendono parte la derisione, la creazione di un rapporto di dipendenza, la sottovalutazione, la negazione di autonomia e personalità, la nascita di uno stato di confusione e paura, la violenza perversa (quando la donna si oppone al condizionamento), il coinvolgimento e la manipolazione di possibili figli (così da aumentare il senso di solitudine e isolamento sociale) e la dipendenza economica. Inoltre, sono analizzabili anche i modi con cui le donne reagiscono a una simile sottomissione.

Vediamone alcuni!

Il primo è la resistenza oppositiva verbale, la quale può essere manifestata, per esempio, sotto forma di urla. Dopodiché abbiamo la resistenza oppositiva fisica, ovvero reazioni violente volte a ferire (anche mortalmente) l’aggressore. Poi c’è la resistenza tramite risposte verbali non confrontative, la quale comprende parole di persuasione e negoziazione volte a generare empatia e acquisire tempo necessario per trovare la strategia adatta a scappare. Tuttavia questo metodo non è sempre efficace. Un altro metodo poco efficace, nonché l’ultimo, riguarda la resistenza fisica non confrontativa, comprendente comportamenti reali o simulati quali vomito, epilessia o svenimento.

L’articolo si conclude qui. So che forse non è molto conciso o semplice, ma è un argomento che mi sta molto a cuore ed essere riassuntiva in queste situazioni non è facile! Spero che quest’articolo sia interessato anche a voi.

Giada Moretti, 1BC <3

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