7 febbraio 2014.
Avevo quasi sette anni. Sono sempre stata una persona introversa, parlare per me non è mai stato
facile. Non ne ho mai compreso la ragione.
E poi arrivò lei.
Ero seduta su una panchina fuori da scuola, nessuno mi parlava e io non interagivo con nessuno: i
pensieri dominavano la mia mente. Una voce sconosciuta giunse da me, appena capii che si trovava al
di fuori della mia testa alzai lo sguardo, ed eccola lì:
«Ciao»
Panico. Aprii la bocca per ricambiare il saluto, ma non ne uscì alcun suono.
«Io mi chiamo Hanna, tu?»
Probabilmente il mio volto diventò pallido, ma dopo qualche istante riuscii a compiere l’impossibile.
«Ciao!» gridai.
Appena le mie labbra si chiusero mi accorsi che ero senza fiato. Mi immaginai un milione di prese in
giro da parte di quella bambina, ma non disse niente: sorrise.
«Non mi vuoi proprio dire come ti chiami?»
Respirai un paio di volte.
«Diana»
«Che bel nome! Posso chiamarti D?»
E D rimase.
22 maggio 2018: quattro anni di amicizia.
Con lei era tutto diverso: i nostri discorsi erano infiniti.
Quel giorno mia madre mi regalò il mio primo telefono, finalmente potevamo comunicare anche a
distanza!
2 ottobre 2019: mio padre morì.
Il giorno peggiore della mia vita, ma lei c’era. Piansi talmente tanto che i miei occhi diventarono
rossi. Hanna dormì insieme a me per più notti, i suoi abbracci erano l’unica cosa in grado di farmi
stare bene. Ed è così tutt’ora.
19 gennaio 2020: pandemia mondiale.
Eravamo tutti chiusi in casa già da qualche giorno, si poteva uscire solamente per fare la spesa. Non
vedevo Hanna da mesi. Mi mancava…
4 marzo 2020: il primo litigio con mia madre.
Non avevamo mai avuto delle discussioni del genere prima di allora. Non ricordo nemmeno il motivo,
probabilmente non era così importante, fatto sta che ero furiosa. Così, telefonai a Hanna per sfogarmi.
Sfogarmi? Io? Pacifista come sono! Piansi e basta. E lei c’era: avrei voluto abbracciarla, ma le
circostanze non lo permettevano.
7 agosto 2021: stavo per andare in Italia con Hanna e la sua famiglia.
Non vedevo l’ora! Mi alzai dal letto il più in fretta possibile, feci colazione, mi lavai i denti e mi
vestii. Avevo già preparato le borse da due giorni, le afferrai in fretta e furia, scesi le scale, mi diressi
in cortile e inforcai la mia vecchia bici.
E iniziai a pedalare per le strade di Kiev, la mia felicità era più che evidente.
11 febbraio 2022: il mio quindicesimo compleanno.
La mia migliore amica mi regalò un medaglione d’argento con al suo interno una nostra foto: i miei
boccoli neri coprivano metà della sua faccia ed entrambe sorridevamo. Il regalo più bello di sempre.
24 febbraio 2022: la Russia attaccò l’Ucraina, il nostro Paese.
Il mio Paese. La mia casa.

I soldati di Putin avevano invaso Kiev e tutte le altre città: dovevamo andarcene.
I bagagli non furono tanti, non potevamo permetterci di portare troppi beni: presi qualche vestito, il
cellulare e la ricarica, un paio di foto e mi misi al collo il medaglione di Hanna.
Mia madre non mi permise di salutarla, facemmo soltanto una chiamata di qualche minuto:
«Ti voglio bene D»
«Anch’io ti voglio bene»
Una voce nella mia testa mi disse che sarebbe andato tutto bene, ma le lacrime che colavano sulle mie
guance esprimevano il contrario.
2 marzo 2022: pervenimmo in Polonia, dopo una settimana.
Durante quei sette giorni non avevo sentito Hanna neanche una volta.
Appena varcai il confine con mia madre ci sentimmo sollevate: le nostre gambe non reggevano più.
Dopo esserci riposate camminammo ancora un po’, fino a intravedere una stazione, nella quale
passammo la notte.
10 marzo 2022: la mia nuova vita.
Una famiglia polacca ci ospitava già da qualche giorno; io e mia madre non sapevamo la loro lingua,
perciò ci limitavamo a parlare in inglese.
Pensavo spesso a Hanna. L’ultima volta che avevamo parlato risaliva all’inizio della guerra: avevo
provato a inviarle dei messaggi, ma non le arrivavano.
Aprii il medaglione e guardai a lungo la foto racchiusa al suo interno.
22 marzo 2022: Hanna mi chiamò.
Avevo smesso da giorni di sperare in uno squillo, fu davvero inaspettato.
«Ciao D»
Era proprio lei. Il suono della sua voce mi commosse talmente tanto che iniziai a piangere, di nuovo.
E Hanna era lì. Lei c’era sempre.
2 aprile 2022: odio la guerra.
Era sera, non ricordo di preciso l’ora, stavo guardando il telegiornale insieme a Hanna, in chiamata.
Non voleva più fare videochiamate e non mi volle spiegare il motivo. Era strano, inoltre mi sembrava
più stanca e affaticata del solito…
In ogni caso, lei era fuggita in Moldavia da un paio di settimane, proprio durante i giorni in cui
iniziarono a sganciare le prime granate.
«Come si può essere così crudeli!» esclamai.
«Non preoccuparti D, sono sicura che finirà tutto molto presto. Il ritorno alla normalità è più vicino di
quanto pensi»
“Lo spero” pensai.
14 aprile 2022: mio nonno venne ucciso.
Dopo i primi attacchi egli decise di restare in Ucraina per difendere il suo Paese e mia nonna non lo
abbandonò.
Gli abitanti della Polonia lasciavano spesso delle armi sul confine e alcuni ucraini le ritiravano per
combattere.
Mio nonno fu uno di questi.
Un soldato russo gli sparò dritto in fronte, con una mira impeccabile, e morì sul colpo.
Mia nonna ci chiamò un paio d’ore dopo il decesso, disse che sarebbe stato sepolto presto e che la sua
era una morte dignitosa. Tuttavia, appena la chiamata terminò, mia madre scoppiò in lacrime e mi
strinse al suo petto.
Io piansi con lei.
24 febbraio 2023: un anno.
Era passato un anno dall’inizio della guerra.
Mia nonna era anziana, non aveva le forze per raggiungerci in Polonia.

Io e mia madre avevamo paura.
Prima mio padre, poi il nonno, non so come avrei potuto reagire se fosse morta anche lei.
E se avessi perso anche Hanna?
All’inizio la chiamavo ogni giorno, poi solo due volte a settimana.
Diceva di essere in un brutto periodo, preferiva concentrarsi sulla sua famiglia. Inoltre, dormiva più
spesso. Avrei voluto chiederle di non inventare scuse e di raccontarmi cosa stava succedendo
davvero… avrei voluto essere con lei.
Tutti questi pensieri ed emozioni mi provocarono molte paranoie e iniziai a piangere.
11 febbraio 2027: oggi compio vent’anni.
Non vedo Hanna da cinque anni, ma la guerra è finalmente terminata.
Putin non è riuscito a impossessarsi dell’Ucraina, il mio Paese è di nuovo libero.
Feci le valigie e aiutai mia madre a fare la sua, salutammo la famiglia polacca che ci aveva ospitate e
la ringraziammo di averci dato una macchina per tornare a Kiev.
In Polonia avevo ottenuto la patente, perciò guidai io.
Adesso sto camminando tra le macerie, mia nonna è sopravvissuta e io e mia madre l’abbiamo appena
vista: non sembra stare male.
Io sto cercando Hanna.
Ieri ci siamo scritte, mi aveva detto che oggi sarebbe tornata anche lei e ci eravamo date
appuntamento davanti a casa sua, o meglio, ciò che ne rimane.
Per il momento non la vedo.
Mi guardo in giro, in lontananza riesco a scorgere i suoi genitori e una ragazza in sedia a rotelle, ma
non vedo Hanna.
Ora mi sto strofinando gli occhi, tutto mi è chiaro: negli ultimi anni Hanna non ha mai voluto fare
videochiamate perché è senza una gamba. Le è stata sottratta da una granata, probabilmente.
«D…»
Enormi gocce stanno solcando il mio viso e per lei lo stesso.
Sto correndo.
Mi sono appena buttata per terra, in ginocchio, davanti a lei. La mia testa è appoggiata sulla sua
gamba e viene dolcemente accarezzata dalle sue mani, mentre sto singhiozzando.
Non l’ho mai sentita più vicina di così.
Finalmente lei c’è.
Angelica Alfieri, 2CS
Copertina a cura di Asia Balpasso, 2CS

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