Ancora spaventata, dolorante e abbracciata a Ezra, le mie più grandi paranoie divamparono nelle mie riflessioni: in quel momento mi pareva uno sconosciuto colui che mi cingeva e io stessa parevo una sconosciuta a me. Un uomo mi aveva attaccata e stavo solo cercando di parlargli, di aiutarlo… ma avrei dovuto ascoltare Flegias, forse: evidentemente, non tutti desiderano un aiuto o conforto e questa è la prova che cercare di aiutare qualcuno che non vuole essere aiutato finisce per ferirci, talvolta irrimediabilmente.

Sollevai lentamente il mio braccio destro, ancora scossa, e riuscii a discernere, nonostante il buio, i segni dei denti di quel defunto, sanguinanti. I segni lasciati da quel cannibale, quel mostro, quel futile uomo senz’anima… o semplicemente da quell’iracondo che avevo accidentalmente provocato?

Quando la barca si arenò stavo ancora meditando, perciò Ezra, percependo ciò, decise di soccorrermi ad alzarmi, a scendere dalla barca e a lasciarmi alle spalle quel cerchio, che non avrei più guardato con gli stessi occhi.

Talmente presa dai miei pensieri, non mi accorsi che ci trovavamo a terra, su una spiaggia, davanti alle mura della città di Dite che separava l’Alto dal Basso Inferno.

«Ezra…» bisbigliai.

«Sì? Ti senti meglio? Sei pronta a proseguire?»

Scossi la testa, iniziando a lacrimare: «Tu mi hai mentito?» borbottai, cercando di soffocare i singhiozzi, ma con molto poco successo.

Aggrottò la fronte: «Su cosa, Lilith?» mi chiese.

«Hai detto di essere un demone. A chi hai mentito dei due»

«Dei due?» domandò ancora.

«Sì! Dei due!» gridai, adirandomi come non mai. L’acqua che fluiva al di sotto delle mie palpebre era evaporata, prosciugata dalla mia rabbia, tanto che un vento umido fortissimo attraversò la palude e cominciò a girare attorno a noi, sull’orlo di trasformarsi in un uragano e travolgerci.

«A chi hai mentito? A me o a Flegias? Dillo! Dillo!» e sentii un’enorme fiamma bruciare dentro al mio corpo, fuori dal mio corpo, sul mio corpo: ardevo, fremevo, mi sentivo tradita. Ero sconvolta.

«Lilith, basta! Ricorda chi è il nemico! Placa la tua rabbia e ascoltami!»

Il mio sguardo, che probabilmente aveva preso fuoco, si spense e io mi accasciai a terra, avvolta improvvisamente da un gran sonno. Ero diventata isterica, la paura mi aveva accecata, portandomi a diffidare dell’unica persona di cui mi fidavo davvero.

Ezra mi raggiunse e, sapendo che non l’avrei interrotto, si chinò e mi parlò: «Lilith, ho detto di essere un demone per far sì che Flegias ci facesse passare: sapevo che avrebbe fiutato la tua essenza demoniaca e che, di conseguenza, non avrebbe posto domande. Altrimenti, sarei potuto rimanere indietro e avresti dovuto continuare da sola»

Sollevai il capo per poterlo guardare, desiderando soltanto che tacesse e facesse un gesto, non avevo idea di quale, uno qualsiasi, purché mi facesse ricordare quanto mi fidavo di lui.

Puntualmente, quasi come se fossimo telepatici, lui mi guardò le labbra e repentinamente vi premette le sue.

Quel bacio non fu passionale, probabilmente per via delle circostanze, ma nonostante fosse il primo che avessi mai dato non mi lasciò senza fiato, non me ne fece desiderare un altro: si trattò più di un bacio fraterno, dentro al quale si celava un sentimento ignoto, non ancora giunto al culmine e andava bene così; fu un momento di intimità nel quale ribadii a me stessa quanto tenessi a lui e quanto lui tenesse a me. Potevo fidarmi, mi bastava questo. Forse, usciti da lì, ce ne sarebbe stato un altro, più adatto, meno impacciato e fuoriluogo.

Illusioni di un’adolescente che aveva vissuto ancora troppo poco: è risaputo che all’Inferno non c’è spazio per l’amore. E all’Inferno vi si è sempre.

Fui io la prima a staccarsi, percepii l’avvampare delle mie guance, stavolta però non dovuto all’ira; dopodiché aprii gli occhi e mi guardai intorno: realizzai solo in quel momento che dinanzi a noi si ergevano le mura di Dite, che idealmente avremmo oltrepassato solo attraverso l’intervento di un angelo.

«Ezra, dobbiamo andare»

Rise, rivelando una leggera fossetta sulla guancia sinistra che non avevo mai notato, non essendogli mai stata così vicina al viso: «E perché?» chiese.

«Guarda lassù» e indicai le tre furie, sedute sulla mura, mostri dalle sembianze femminili coperti di sangue, dai capelli serpentini e dalle tempie cinte da quegli stessi serpenti che le ornavano.

«So dove siamo: da queste parti si aggira Medusa»

«Medusa? La Gorgone?» si allarmò.

«Sì. Andiamo»

E fu così che ci alzammo da terra e ci dirigemmo verso la porta, chiusa a chiave.

«E adesso?» dissi ad alta voce spaventata, ma poi, puntualmente, il demone castano e dalle ali di fuoco che avevo già incontrato due volte venne in nostro soccorso, sorvolando lo Stige.

«Dovete passare?» domandò una volta atterrato.

«Sì» dissi «La porta non viene aperta da un angelo solo per volere divino?» chiesi poi.

Egli, tirando fuori una verghetta dalla sua veste trasandata, rispose: «Normalmente sì, ma è un momento difficile per l’intero Aldilà. Tra due giorni i demoni si riuniranno poco prima della Burella, dove Lucifero è incastrato, e gli angeli faranno lo stesso in Paradiso. Perciò, visto che sono stati convocati anche i mezzidemoni, ci sono state concesse le chiavi per aprire la porta di Dite per velocizzare il processo»

«Questa storia ha a che fare con l’Angelo della Morte, vero?» chiesi ancora.

Egli annuì: «Se non verrà trovato e ucciso ci sarà una guerra tra i due mondi, che porterà alla distruzione di Inferno, Purgatorio e Paradiso ancor prima che l’Angelo della Morte possa provare a impossessarsene o a distruggerli a sua volta»

Detto ciò si avviò alla serratura e aprì la porta, consentendoci di entrare. Ezra non esitò a varcare immediatamente la soglia, mentre io mi fermai a metà per potermi voltare verso quel demone e porgli un’ultima domanda: «Pensi davvero che ci sarà una guerra?»

Sospirò e nei suoi occhi lessi la mia stessa preoccupazione: «Io penso che manchi poco alla fine, non so se sarà per mano nostra o per quella dell’Angelo della Morte. Temo che la vita nel mondo ultraterreno sia giunta ormai al termine»

Delle lievi lacrime, quasi impercettibili, sgorgarono dai miei occhi e il dolore che provavo non mi consentì di muovermi. Sconcertata, mi rigirai lentamente per non recargli altro disturbo ma mi bloccò afferrandomi per un braccio: «Giovane demone, non sei l’unica che soffre: intere generazioni di demoni sono in pericolo, destinate alla morte oppure a fondersi con i vivi, senza avere alcuna scelta sul loro futuro»

Deglutii: «Lo so» constatai.

Delicatamente, mi lasciò andare, poi aggiunse: «Se hai bisogno di qualsiasi cosa, chiamami» e si librò nell’aria, lasciando che i suoi folti capelli castani venissero accarezzati dal vento.

Lo richiamai con gesti e urla, poiché non conoscevo il suo nome, tuttavia era talmente lontano che riuscivo a vedere solamente le scintille arancioni che emanavano i suoi occhi in controluce, ma presto mi accorsi che in realtà non avevo bisogno di una risposta: quella voce riprese a parlare nella mia testa, sussurrandomi il suo nome: 

Asmodai.

«Tutto ok?» mi domandò Ezra dopo che mi lasciai la porta alle spalle.

«Certo» affermai, cacciando via gli ultimi residui di liquido dal viso con il pollice destro.

Sorrise lievemente, quasi come se fosse una forzatura e ci incamminammo verso sinistra, l’uno fianco all’altro.

Ci trovavamo nel sesto cerchio dell’Inferno, quello dove giacevano gli eretici, chiusi dentro tombe di pietra infuocate, prive di lapidi e divise per setta. In quel luogo tenebroso e avvolto da una nebbiolina agghiacciante, Dante incontrò Farinata degli Uberti e il padre di Guido Cavalcanti, mentre io ero decisamente intenzionata a non esplorare alcun sepolcro.

Passato qualche minuto, svoltammo a destra per oltrepassare il burrone che ci avrebbe condotti al settimo cerchio dell’Inferno, che ospitava i violenti.

Questo fu il primo cerchio diviso in gironi che attraversammo: comprendeva i violenti contro il prossimo, i violenti contro sé stessi e i violenti contro Dio.

Il primo girone era costituito da un fiume di sangue, il Flegetonte, bollente, a giudicare dal vapore che emanava e dal caldo che faceva; tra la roccia e il fiume vi era inoltre un sentiero, percorso dai centauri, armati di arco e frecce, intenti a sorvegliare i dannati, immersi nel Flegetonte. Infatti, essi sprofondavano nel fiume in base alla loro pena: i tiranni fino agli occhi, gli omicidi fino al collo e i predoni fino al petto, e il compito dei centauri era quello di assicurarsi che non fuoriuscissero eccessivamente dal sangue.

In quella macabra visione, notai un giovane, probabilmente sui trent’anni, immerso fino al collo: egli aveva gli occhi azzurri, i capelli bagnati e infangati e lo sguardo perso, rassegnato, ma non pentito.

Lentamente mi avvicinai fin dove il sentiero lo permetteva, poi lo chiamai per nome: «Jack»

Alzò la testa di scatto, sorpreso, e poi i suoi occhi equorei si spostarono verso di me, assumendo una forma interrogativa: «Chi sei?» chiese semplicemente.

Mi inchinai sulla sponda e sospirai: «Sono Lilith, Jack. Perché sei qui?»

Volse di nuovo lo sguardo verso un punto fisso, oltre la mia persona: «Non lo so. Un giorno ero fidanzato con la donna che amavo e il giorno dopo era morta per un taglio netto sulla carotide, causato da un coltello, che reggevo io.»

«Hai ucciso la tua fidanzata?» domandò Ezra, alle mie spalle.

Jack lo guardò: «Sì, l’ho fatto. Pretendeva di uscire da sola con le sue amiche, la sera. La volevo solo proteggere, lo capite vero? Io l’amavo, ma non ha voluto ubbidirmi. Certe decisioni sono necessarie, del resto lei mi apparteneva, non le avrei mai fatto del male se mi avesse ascoltato»

«E chi l’ha protetta da te, invece?» chiesi bruscamente, alzandomi in piedi.

Sogghignò: «Non c’era bisogno che qualcuno la proteggesse da me: ero il suo fidanzato, lei era mia. Lei non si è protetta da sé stessa, ha fatto come ha voluto e ne ha pagato le conseguenze. Se l’è cercata»

«L’amore non è possesso, Jack,» esordì Ezra «e il possesso non è amore. I due non possono convivere»

«Eppure in me convivevano» si oppose.

«No,» mi irritai «in te convivevano possesso e volontà di sentirti amato. Nel momento in cui hai realizzato che non avresti mai potuto possederla, e che lei non ti avrebbe mai amato nel modo contorto che volevi tu, l’hai uccisa»

Scosse la testa: «Io non merito di stare qui, lei se lo merita»

«Eppure tra i due mi pare che ci sia tu quaggiù» constatai.

Il maschilismo c’è sempre stato e c’è tutt’ora, le persone come lui ne sono l’emblema. Anzi, le persone come Jack sono la prova che ci si può innamorare di persone con cattive intenzioni, poiché non si potrà mai conoscere nessuno fino in fondo o completamente. Fidatevi di me, lo imparai a mie spese.

Angelica Alfieri, 3 CS

Copertina a cura di Asia Balpasso, 3 BS

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