È molto più difficile far del male agli altri piuttosto che farlo a se stessi: il fine ultimo dell’uomo è sempre stato la soddisfazione dei propri piaceri, del proprio successo, della propria felicità e per quanto sia terribilmente doloroso dirlo, è disposto a tutto pur di conseguire tutto ciò; anche se questo implica ferire gli altri.

Eppure, i violenti contro se stessi esistono. Mi trovai davanti a loro una volta superato il primo girone del settimo cerchio: nel secondo girone, infatti, albergano suicidi e scialacquatori. I primi si trovavano imprigionati dentro agli alberi che popolavano la selva in cui eravamo capitati io ed Ezra essi venivano straziati dalle arpie, mostruose creature con viso di donna e corpo d’uccello; mentre i secondi correvano in tutte le direzioni, piangendo e urlando dalla disperazione, inseguiti da grosse cagne nere. Una di queste, sotto i miei occhi, ne fece a brandelli uno: una visione talmente raccapricciante che mi fece vomitare per terra, ai piedi di un albero, del quale percepii il pianto.

Ezra si era avvicinato per potermi sorreggere i capelli, mi chiese se avessi bisogno di qualcosa, ma non riuscii a proferire parola. Dopo aver terminato ed essermi pulita la bocca con la manica della felpa, sollevai il capo e mi scusai col suicida a cui avevo accidentalmente mancato di rispetto:

«Perdonami, non volevo…»

Passato qualche istante di singhiozzi, mi rispose: «Non preoccuparti, non l’hai fatto apposta»

Rimasi in silenzio per poter ascoltare il suo pianto quasi melodico, poi quella solita voce mi spinse a parlarci chiamandolo per nome: «Henry, perché sei qui?»

Parve sorpreso e anche sconvolto dalla mia domanda, tanto che mi diede una risposta piuttosto banale:

«Perché sono un suicida»

Notai che aveva cessato di piangere. Posai una mano sul suo tronco malridotto: «Intendo cosa ti ha portato a compiere un atto così drastico»

Sospirò: «La mia identità andava contro la morale comune, gli altri faticavano ad accettarmi per come ero, cioè diverso, effeminato. Soprattutto i miei compagni maschi: ritenevano che io non fossi abbastanza uomo per poter continuare a vivere e col tempo iniziai a crederci io stesso. Mi picchiavano, insultavano, ero completamente solo. Adesso almeno sono circondato da persone simili a me, persone che non hanno avuto il coraggio di opporsi e andare avanti. Persone che hanno scelto consapevolmente di stare qui»

Accasciai il mio corpo di fianco alle sue radici e sussurrai: «Tu non meriti di stare qui, non quanto le persone che ti hanno trattato in quel modo»

Non potevo vedere il suo volto, eppure sembrò che avesse sorriso: «L’ho scelto io. Nel prossimo girone troverai altre persone come me, punite per qualcosa di molto meno imputabile, di qualcosa che non hanno potuto scegliere…»

In quel preciso istante, un’arpia planò nella nostra direzione ed Ezra dovette tirarmi a sè per impedire a ella di ferirmi, poiché mirava a Henry, il quale non riuscì a finire il discorso: non servì che aggiungesse altro in ogni caso, avevo compreso perfettamente che si stava riferendo ai sodomiti.

«Non guardare ancora» bisbigliò Ezra al mio orecchio.

Il mio volto era nascosto tra le sue braccia, intente a cingermi e a guidarmi verso la fine di quel bosco. Farsi del male richiede un coraggio spropositato, ma allo stesso tempo codardia: la verità è che chiunque non riesca a sollevare il capo, rialzarsi e andare oltre, chiunque preferisca togliersi la vita piuttosto che affrontarla e uscirne a testa alta è un codardo. Ci saranno sempre persone che per noia passeranno il loro tempo a sminuire gli altri, o altre che non riescono a voler bene a qualcuno come egli vorrebbe, ma amare sé stessi è il primo requisito per poter essere amati dagli altri. Come possiamo pretendere di piacere agli altri se prima di tutto non piacciamo a noi stessi? Il più delle volte

non essere apprezzati porta all’autocommiserazione, diventa quasi un’ossessione, non si ferma a una soddisfazione personale: alcuni necessitano dell’approvazione altrui, la reputano inestimabile, e se non riescono a ottenerla crollano, muoiono dentro. E in poco tempo, anche fuori.

La volontà, o necessità, di suicidarsi non è qualcosa che c’è sempre stato, ma nasce dai feedback dati dal mondo esterno: per quanto alcuni affermino che sia meglio stare da soli, che in qualche modo li rincuori, nessuno di questi lo pensa davvero. L’uomo ha bisogno di altri individui intorno, poiché sono l’unico mezzo che ha per trovare la felicità e riceverla.

Ma anche per trovare e ricevere odio.

Senza nemmeno sapere come ci fossi arrivata, quando trovai il coraggio di aprire gli occhi e di staccarli dal petto di Ezra mi trovavo sulla spiaggia del terzo e ultimo girone del settimo cerchio, dimora dei violenti contro Dio: i bestemmiatori, i sodomiti e gli usurai.

La sabbia, su cui noi non potevamo mettere piede, era infuocata e vi erano sdraiati i bestemmiatori, che ardevano come macerie e gridavano straziati; i sodomiti si limitavano a camminarvi sopra; e infine gli usurai erano semplicemente seduti a gambe incrociate e portavano al collo una borsa con lo stemma della loro famiglia.

Non mi soffermai molto su bestemmiatori e usurai, mi concentrai più che altro sui sodomiti: la loro espressione suggeriva angoscia, resa, ma non rimpianto.

«Tutto ok?» domandò Ezra.

Spostai la mia attenzione su di lui, ma senza distogliere lo sguardo dal loro infinito cammino: «Penso soltanto a quanto sia assurdo che si trovino qui: persone che hanno commesso il solo crimine di amare. Può essere davvero considerato un peccato?»

Scosse la testa: «L’uomo non sceglie di amare e soprattuto non sceglie chi amare. Dio ha creato Adamo ed Eva, uomo e donna, e per questo motivo le coppie omosessuali sono considerate “contro natura”. Ma Dio non ha forgiato la natura, l’ha solo creata, è stato poi l’uomo a metterci mano e a darle un senso, a plasmarla, dimostrando che tutto è possibile. Se egli ha reso possibile il fuoco, la coltivazione di piante, la costruzione di abitazioni o la produzione industriale non capisco perché non dovrebbe essere contemplata un’ovvietà come l’innamoramento. È l’unica cosa che non ha danneggiato il mondo fisicamente»

«Eppure molti dissentono» constatai «perché non hanno ancora capito che è stato l’odio a danneggiarlo. Odio che queste persone non meritano»

Detto ciò, mi rifiutai categoricamente di parlare con uno qualsiasi di loro: la dichiarazione di Henry mi era bastata, sentivo che ormai la mia esperienza nel settimo cerchio era giunta al termine.

Era il momento di passare all’ottavo.

Prima di avventurarci nelle Malebolge avremmo dovuto attraversare una ripa discoscesa, cosa che era praticamente impossibile per due esseri umani.

«Come proseguiamo?» mi chiese Ezra dopo esserci lasciati alle spalle il terzo girone.

«Con lui» e feci un cenno per indicare l’essere che si trovava in fondo al burrone.

In tutta la sua mostruosità, Gerione girovagava per il buratto appeso alle pareti friabili che lo adornavano, come se fosse un geco: appena ci vide, cominciò a salire verso di noi e a quel punto, man mano che procedeva, riuscii a discernere il volto d’uomo, il busto di serpente e le pelose zampe artigliate che arrivavano fino alle ascelle.

Più che un geco pareva un parassita, pronto a infestare chiunque intercettasse.

«Sicura che ci aiuterà?» chiese ancora.

Scossi la testa «Non ne ho la più pallida idea»

In poco tempo, Gerione ci raggiunse e in particolare fissò me.

«Un semidemone» esordì.

«Nella sua totalità» risposi.

«Ti stai dirigendo da Lucifero?» domandò.

Il suo volto era talmente vicino che il suo alito arrivava ad accarezzarmi le narici, motivo per cui mi tirai indietro: «Esatto, puoi offrirci il tuo aiuto?»

Rise, facendosi beffe di me: «Un semidemone senza ali, strano no?»

Non seppi come ribattere, al che, probabilmente per pena, si voltò per permettermi di salire sul suo dorso: «L’ho già fatto in passato, mai per un demone, lo ammetto»

Il suo era soltanto un malizioso intento di sminuirmi, ne ero consapevole; tuttavia non potei permettermi di declinare la sua offerta: mi misi a cavalcioni sul dorso e poi mi girai per dare una mano a Ezra, il quale, stranamente, non si trovava dietro di me.

«Ez-» tentai di chiamarlo, ma prima di poter terminare di dire il suo nome egli sbucò dalla penombra e salì velocemente, senza spiegarsi.

Poi Gerione partì e si mosse il più velocemente possibile, correndo e aggrappandosi furiosamente. Capii immediatamente che una parte di sè desiderava la mia caduta e morte, per puro compiacimento.

Con mio stupore, io ed Ezra pervenimmo all’ottavo cerchio completamente intatti, senza lesioni. Seppure non fossi grata a nessuno, ringraziai Gerione e lo salutai, ma lui stava guardando con fare sinistro il mio compagno di viaggio, probabilmente perché non si era accorto che fosse salito anche lui.

«Dove ti eri nascosto?» gli chiesi dopo che entrambi fummo a terra.

Fece finta di non sentirmi, fu più che palese visto che si trovava a pochi metri da me e regnava un silenzio tombale.

«Mi hai sentito?» insistetti.

«Sì…» accennò guardando verso l’alto, con fare distratto «guarda lassù»

Con l’indice destro indicò i demoni che stavano sorvolando la ripa che avevamo appena oltrepassato grazie a Gerione: svolazzavano nell’aria sporca dell’Inferno completamente incuranti delle anime che vi giacevano, interessati solamente alla meta del loro viaggio. La Burella.

«La riunione sarà molto presto» osservai «Dobbiamo muoverci»

Ezra distolse lo sguardo dallo stormo per fissare me, inebetito: «Tu vorresti visitare ottavo e nono cerchio per intero in così poco tempo?»

«No, ovvio che no. Sono due le bolge che mi interessano»

Detto questo lo guidai sempre più in fondo in quel labirinto infernale: passamo tra i corpi nudi dei ruffiani e dei seduttori, che camminavano in direzioni parallele e opposte, frustati da demoni cornuti; proseguimmo il tragitto incontrando gli adulatori, immersi nello sterco e intenti a colpirsi a vicenda; per poi passare ai simoniaci, conficcati a testa in giù dentro delle buche, con le piante dei piedi ornate da fiammelle.

Solo quando giungemmo alla quarta bolgia mi placai: essa ospitava indovini e maghi, ormai lacerati. Il loro viso era infatti rivoltato all’indietro, camminavano a ritroso e piangevano lacrime che avrebbero poi fluito sulla loro schiena e sulle loro natiche. Procedevano lentamente, come in processione, poiché per poter vedere dove mettevano i piedi dovevano camminare con i talloni.

Tra questi, intravidi un vestito a balze indaco, abbellito con ghirigori argento, vagamente familiare, quando spostai poi lo sguardo dall’orlo dell’abito al viso inclinato all’indietro, riuscii a vedere delle ciocche castane tra i capelli sudici della donna che lo indossava. Istintivamente una lacrima sgorgò dalle mie iridi e inumidì prima la mia guancia e poi le mie labbra: corsi verso di lei, incredula.

«Sybil!»

Angelica Alfieri, 3 CS

Copertina a cura di Asia Balpasso, 3 BS

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