Le emozioni hanno un ruolo fondamentale nella qualità dell’apprendimento scolastico. Nel rapporto insegnante-alunno bisognerebbe tenerle in considerazione, adottando un approccio “empatico” (comprendendo il punto di vista dell’altro, provando le sue emozioni, desiderando il suo benessere) e mettendo in atto una didattica basata sull’affettività, che scelga la via del dialogo e del confronto.

Le informazioni, infatti, vengono apprese, e dunque entrano a far parte del bagaglio culturale degli alunni, proprio in base all’intensità ed alla partecipazione con cui sono state trasmesse. È stato dimostrato che stati d’animo positivi (gioia, euforia, interesse…) rinforzano positivamente il processo di apprendimento, mentre al contrario stati d’animo negativi (tristezza, malinconia, noia…) possono influenzarlo negativamente. E’ molto importante quindi saper mantenere in classe un clima positivo, che possa senza dubbio costituire terreno fertile per l’apprendimento.

L’insegnamento passa attraverso la comunicazione, ed esso non può solo essere una semplice spiegazione di contenuti. Se un insegnante riesce a comunicare bene con i propri alunni, è perché ha a cuore la loro crescita e il loro benessere emotivo. Non sempre, infatti, gli alunni apprendono senza ostacoli, ma la loro capacità deve essere sollecitata dall’insegnante. Insegnare con il cuore significa quindi comunicare con il cuore, cioè fare in modo che gli alunni sentano che il loro insegnante conosce e comprende i loro bisogni e problemi. 

Importanti sono gli studi svolti da Thomas Gordon, rilevante psicologo americano. Il metodo “dell’ascolto attivo”, da lui teorizzato, richiede che chi comunica con l’altro, oltre a sentire, capisca davvero quello che l’altro vuole esprimere. L’insegnante deve avere fiducia negli alunni, essere in grado di accettare e capire i loro sentimenti, essere disposto ad aiutarli. Occorre inoltre abbandonare il “linguaggio direttivo”, che genera spesso reazioni contrarie in chi si ha davanti. Gordon propone di utilizzare i “messaggi-io” in prima persona, utili per poter trattare conversazioni particolarmente complesse; sarebbe utile esprimere i nostri desideri e aspettative rispetto a qualcosa che avremmo voluto che l’altro facesse, invece di elencare il disagio e la frustrazione di ciò che assolutamente non si sarebbe dovuto fare. 

Insegnante e alunno sono protagonisti di una relazione speciale in cui emergono empatia, considerazione reciproca e rispetto. È fondamentale una comunicazione fatta di parole, sguardi, piccoli gesti e sorrisi che creino situazioni di benessere. In questa relazione è necessaria, inoltre, l’assenza di pregiudizi, che permette il crescere di un rapporto autentico. 

Un insegnante che “prende a cuore” la relazione educativa non può che essere gentile. La gentilezza dovrebbe essere alla base di ogni relazione umana. Se un insegnante si rivolge ai propri alunni con garbo, amabilità e cortesia è naturale che essi si sentano accolti e che non abbiano paura ad esprimersi ed avere fiducia. Allo stesso tempo l’alunno, trasmettendo rispetto e maturità con il suo linguaggio, può generare sensazioni positive nell’insegnante, che apprezzerebbe il rispetto dimostratogli. Si può persino rimproverare in modo gentile, senza per questo perdere la propria autorevolezza; e si può anche far notare ciò che non va nel “contesto classe”, senza essere per forza arroganti, scorbutici o irrispettosi. 

Essere gentili agli occhi dei ragazzi è il primo passo per diventare credibili; il rispetto nascerà spontaneamente poiché si apprezza chi si ha di fronte. Anche in ambito educativo scolastico occorre riscoprire le parole “gentili” come “per favore”“grazie” per creare un clima positivo e facilitare la crescita di buone relazioni.

Forse non ci abbiamo mai pensato, ma anche la disposizione dei banchi all’interno di un’aula ha importanza per il clima della classe. L’apprendimento è favorito anche da un ambiente che sia rassicurante, che accolga le persone, che le faccia sentire a proprio agio. 

Thomas Gordon sostiene addirittura che gli alunni dovrebbero partecipare all’organizzazione dell’ambiente in cui passano molte ore della loro giornata. Sarebbe bello che la disposizione dei banchi permettesse agli alunni di guardarsi negli occhi, non di darsi le spalle, così da fare sentire tutti accolti. Insegnare ai bambini ed ai ragazzi cosa significa “volgere lo sguardo all’altro” significa insegnare ad accettare ed accoglierne ogni sfumatura, oltre che ad imparare a riconoscersi unici agli occhi di chi ci sta accanto.

Un buon educatore dovrebbe prendere sul serio il pianto dei ragazzi a lui affidati. Le lacrime non sono mai banali e possono nascondere  disagio, imbarazzo, tristezza, esprimendo parole che altrimenti non verrebbero pronunciate. Dietro le lacrime di bambini e ragazzi si nasconde sempre una situazione da conoscere, comprendere ed analizzare per dare un significato a quel pianto. Il pianto è un modo privilegiato attraverso il quale l’insegnante può arrivare al cuore dei  suoi alunni, per questo va sempre ascoltato ed accolto. 

Un’altra fondamentale attitudine dell’insegnante è quella di saper ascoltare. Non sempre però sono parole quelle da interpretare: a volte si tratta di silenzi. Ascoltare il silenzio di un bambino, significa trasformarlo in risorsa utile a compiere passi avanti per arrivare al suo mondo. 

Un secondo aspetto che riguarda il silenzio è quello del suo significato spiegato agli alunni. Spesso non è insegnato, soprattutto ai bambini, il valore del silenzio come momento essenziale per ascoltare la persona che abbiamo di fronte. Nel silenzio si può trovare la dimensione ideale per concentrarsi e per porre attenzione alle parole di chi si trova attorno. Il silenzio è opposto al caos ed è luogo fondamentale per ritrovare sé stessi e gli altri.

        Irene Bettin, 3Be

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