Di nuovo, la mia mente non sentiva nient’altro che le mie grida interiori.

Una volta esserci lasciati alle spalle l’Acheronte, continuammo a camminare lentamente: Ezra non poneva domande a me e io non ne ponevo a lui, si limitava a tenermi per mano e ad attendere che io decidessi di fermarmi. Non lo feci per un bel po’.

Progressivamente il suolo degradato diventava scosceso, mentre noi scendevamo per le insenature senza badare a ciò che accadeva intorno a noi, ancora turbati dalle parole di Caronte: “… i mezzi demoni impiegano più tempo a trasformarsi… ”, “… nel momento in cui la furia che alberga in loro raggiunge l’apice…”, “… l’equilibrio dell’aldilà è stato alterato…”, “… questa creatura è un pericolo per tutti noi”…

Evidentemente Sybil non aveva completamente torto: l’equilibrio tra i mondi aveva cessato di esistere con la nascita dell’Angelo della Morte. E dunque, chi era costui? Perché si nascondeva? Quali erano le sue intenzioni? Dominare l’Aldilà o distruggerlo?

Dalle parole di Caronte era intuibile che avesse più potere persino di Dio e di Satana, allora perché mai un angelo e un demone dovrebbero aver voluto generare una creatura talmente temibile?

L’unico modo per scoprirlo era certamente parlare con almeno uno dei diretti interessati ed ero più che decisa a farlo.

«Ezra,» lo chiamai voltandomi di scatto verso di lui e, automaticamente, lasciando la sua mano

«voglio andare in fondo a questa storia» dichiarai.

Lui sollevò un sopracciglio: «Lilith, è chiaro che questo posto ti ha sconvolta: prima Talia, poi la storia dell’Angelo della Morte, io non credo che tu sia pronta ad affrontare tutto questo. Sì, sei un demone, ma puoi anche decidere di ignorare la cosa e andare avanti. Adesso è da un po’ che stiamo girovagando, avremo passato due cerchi o forse tre, possiamo tornare indietro e fare finta che non sia successo niente di tutto questo»

«Come puoi dire una cosa del genere, visto che sei stato tu a portarmi qui?» mi irritai.

Appoggiò le sue mani sulle mie spalle con un gesto calmo e pacato: «Lo so Lilith, lo so. Però pensaci bene: quel medaglione non ti ha fatto per nulla bene. Adesso siamo qui, in questo luogo infernale, e ogni passo che facciamo ti vedo sempre più disperata. Non pensi sia meglio, per te, tornare a casa?»

«E fingere di non aver visto niente?» sbottai, tirandomi indietro e rimuovendomi dal suo tocco «Ezra, qui io non sto solo conoscendo morte e dannazione, ma sto anche scoprendo me stessa, cosa sono e perché lo sono. Finalmente, per la prima volta, sento che potrei riuscire a capirmi, un passo alla volta, cerchio dopo cerchio, girone dopo girone, bolgia dopo bolgia. E se qualcuno intende distruggere questo mondo, questa parte di me, allora voglio annientarlo»

Lui mi fissò, inebetito, poi annuì col capo alzando le spalle, probabilmente per esasperazione:

«D’accordo, se è la tua decisione allora non sarò io a fermarti. Proseguiamo?»

«Proseguiamo»

E fu così che attraversammo un’altra frana per visitare il cerchio successivo, anche se nessuno dei due aveva idea di quale fosse.

Per via degli uomini che comparvero alla nostra vista, distinti in due schiere mentre cercavano di spingere dei massi con il petto percorrendo un semicerchio, lo riconobbi subito: dinanzi a noi si estese il quarto cerchio dell’Inferno dantesco, dove giacevano avari e prodighi. Avevamo superato come se nulla fosse il Limbo, i lussuriosi e i golosi, non curandoci delle loro pene, e adesso era arrivato il momento di dialogare con qualcun altro.

Demoni svolazzavano da tutte le parti, le loro ali erano di diverse tonalità di rosso misto a nero carbone, come se fossero state bruciacchiate da un accendino, e tutti quanti si fermarono a mezz’aria appena ci scorsero tra quella mandria di dannati: stavolta, però, nessuno si azzardò ad avvicinarsi.

Li fissai a lungo mentre mi avvicinavo a quelle anime peccatrici, poi balzai indietro poiché una di queste, poco distante da me, urlò: «Perché tieni?»

Notai che anche Ezra si era spaventato.

«Perché ha gridato?» mi chiese «Nei cerchi precedenti erano tutti taciturni»

«Probabilmente si è scontrato con un altro,» risposi «guarda adesso»

E puntualmente, la stessa figura che aveva emesso quello strillo pochi istanti prima ricevette le parole “Perché burli” , pronunciate con altrettanta enfasi, da un altro dannato per via di uno scontro che era avvenuto tra i due.

«Ma è maschio o femmina?» mi domandò ancora.

«Sai che non lo so» gli dissi cercando di squadrare la persona in questione da capo a piedi «Ha i capelli lunghi, ma non mi sembrano molto femminili. E se lo chiamassi?»

«Beh, non sai il suo nome» constatò lui.

Chiaramente l’osservazione era giusta, eppure un sussurro nella mia testa mi sollecitò a dire un nome, mai sentito prima di quel momento: «Boomer»

Egli si voltò, lasciandoci intendere, dalle sue fattezze, che era un maschio. Gli altri demoni mi lanciarono un’occhiata di fuoco, ma di nuovo non dissero nulla: non sembravano sorpresi dal fatto che conoscessi il suo nome nonostante non l’avessi mai incontrato. Guardando anche gli altri morti, inoltre, percepii di nuovo quella voce sussurrarmi tutti i loro nomi. Nel pensare a ciò, non mi accorsi che Boomer si stava dirigendo verso di me.

«Lilith…» mi chiamò Ezra tirandomi una leggera pacca sul braccio.

Scossi la testa e sbattei le palpebre, per poi rendermi conto che Boomer, un uomo morto sui quarant’anni a giudicare dal suo aspetto, era ormai davanti a noi.

Egli guardava solamente me, non Ezra, e probabilmente si stava chiedendo perché l’avessi chiamato. Sinceramente, me lo stavo chiedendo pure io.

«Ehm…» esordii.

Fortunatamente, Ezra decise di intervenire al mio posto: «Perché sei qui, Boomer?»

Stanco dei continui sforzi che la sua punizione gli imponeva, non riuscì nemmeno a comporre coi suoi tratti un’espressione interrogativa: rimase semplicemente impassibile.

«Perché prima hai urlato quelle cose?» gli domandai io.

«Perché è la mia punizione» disse «Sono condannato a spingere pesi col mio petto e a rinfacciare agli altri le loro colpe, mentre loro mi rinfacciano le mie»

«E quali sono le tue colpe?» chiesi.

Sospirò, esausto: «Per me l’importante è sempre stato solo e soltanto apparire: quando ero giovane, la mia famiglia viveva nella povertà totale, perciò mi mandarono a lavorare presto. La maggior parte di quei soldi li conservavo per comprarmi dei vestiti firmati, anche se non me li potevo permettere» grosse stille iniziarono a solcare le sue guance, perciò terminò il discorso singhiozzando «Venimmo sfrattati da casa, ma non imparai dal mio errore. Una volta diventato adulto cominciai con lo shopping compulsivo e non riuscii più a fermarmi: mi ritrovai di nuovo senza una casa. Tornai dai miei genitori, che erano riusciti a cavarsela, per chiedere loro un prestito e mi dissero che i soldi li avrei potuti riavere tranquillamente vendendo tutti i miei vestiti ricercati. Mi rifiutai, accecato dall’avarizia, ma col tempo me li confiscarono. E fu così che morii senza una casa, senza dei beni e senza qualcuno disposto a badare a me»

«Basta così!» esclamò lo stesso demone che avevo incontrato all’inizio del mio percorso, atterrando pacatamente di fianco a noi.

Fece allontanare Boomer, poi mi prese da parte e mi disse: «Stai attenta, giovane demone. Non tutte le anime che giacciono qui sotto saranno disposte a raccontarti le loro storie. Ricordati: sei una di noi solo per metà»

Io lo guardai, fulminandolo con lo sguardo: sentii le mie palpebre incendiarsi. Lui lo percepì e, difatti, si mise a ridere.

«Notevole» e poi si librò nell’aria.

Intanto, Boomer era tornato a strillare e spingere massi col petto.

Stavolta non era stato l’incontro col defunto a turbarmi, ma le parole proferite da quel demone.

Aveva detto che non tutti saranno disposti a raccontarmi le loro storie, ma perché mai? Dante, durante il suo viaggio, del resto aveva parlato con qualcuno in ogni cerchio: non pensai nell’immediato all’Inferno in quanto posto abitato da anime che hanno commesso peccati di cui non si sono pentite, mi limitavo a vederlo come un luogo di morti, anzi, di persone che hanno un passato, magari mai raccontato.

Tuttavia, non sempre coloro che hanno una storia finita tragicamente la percepiscono in quanto tale: potrebbero non provare tristezza, o rimpianto, ma soltanto ira. Ira di non essersi resi conto in tempo che nella vita non sono mai stati abbastanza, che non hanno mai fatto abbastanza, oppure semplicemente ira di aver fatto troppo o troppo poco. Tutti quanti sono talmente convinti che l’uomo sia fatto per amare, ma con tutto l’odio visto in una vita e in una morte, mi rendevo sempre più conto che in realtà l’uomo è fatto per adirarsi.

«Lilith, c’è un fiume» mi disse Ezra, risvegliandomi dalle mie riflessioni.

Effettivamente, a un passo da noi fluiva lo Stige, che avremmo dovuto attraversare traghettati dal demone Flegias: egli si trovava seduto sulla barca e parve non accorgersi della nostra presenza finché non attirammo la sua attenzione cercando di salire sulla barca.

«Fermi!» ci bloccò, alzandosi di scatto.

Sobbalzammo e nel farlo caddi all’indietro, inciampando sulla prua, ma Ezra mi prese giusto in tempo.

«Chi siete? Cosa volete?» ci chiese.

«Vogliamo soltanto arrivare dall’altra parte» gli risposi.

«Ma voi non siete morti» notò lui, particolarmente incline a infuriarsi. Stavo per controbattere, ma Ezra mi precedette: «Siamo demoni»

Sbalordita, mi girai per guardarlo: il mio primo pensiero non fu che egli avesse mentito a Flegias per far sì che ci consentisse di andare, ma piuttosto che avesse mentito a me per tutto quel tempo.

Flegias non fece altre domande e ci invitò scortesemente a salire sulla barca.

Lo Stige non era come l’Acheronte: lì vi erano immerse delle anime, alcune intente a mordersi e altre completamente immerse nel fango, e solo in quel momento realizzai che ci trovavamo in un altro cerchio, quello degli iracondi e degli accidiosi.

«Devo parlare con uno di loro» dissi.

Così mi misi a chiamarli per nome, nella speranza che qualcuno si fermasse per voltarsi verso di me e raccontarmi come fosse finito lì, quale fosse la sua storia, quali fossero i suoi peccati.

«Te lo sconsiglio vivamente» mi ammonì Flegias.

Finalmente un uomo si appropinquò alla barca, perciò inarcai la schiena per sentire cosa aveva da dirmi e subito dopo gridai, poiché afferrò il mio braccio destro e lo morse con tutta la forza che aveva. Ezra mi cinse e cominciò a tirarmi verso di lui, liberandomi dalla sua presa, poi cercò di calmarmi, dato che non avevo ancora smesso di urlare dalla paura.

Soltanto in quel momento capii le parole del demone che aveva cercato di avvertirmi nel cerchio precedente.

Angelica Alfieri, 3 CS

Copertina a cura di Asia Balpasso, 3 BS

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