Tutti noi sappiamo cosa sta succedendo in questi giorni in Palestina, o meglio, cos’è successo sabato 7 ottobre 2023: l’attacco di Hamas contro Israele.  

Si tratta di una realtà lontana dalla nostra, ma questo non ci impedisce di informarci e comprendere cosa sta accadendo.  

Purtroppo, su questo argomento c’è attualmente molta disinformazione: c’è chi pensa che tutto sia iniziato quel fatidico 7 ottobre, quando, in verità, la situazione si protrae da circa 75 anni.  

Per poterne parlare meglio e capire come siamo arrivati a quello che è successo, occorre tornare indietro di un secolo, al 1900, se non prima.  

La Palestina è un paese da sempre segnato dalla guerra, che è stato occupato da innumerevoli popolazioni nel corso della storia ed è stata una terra importante per le tre religioni monoteiste, ovvero Islam, Cristianesimo ed Ebraismo. 

Verso la fine del 1800, con la diffusione dell’antisemitismo, gli ebrei presenti in diverse parti del mondo iniziarono a migrare verso la Palestina.  

Questo spostamento era dovuto principalmente al movimento sionista creato da Theodor Herzl nel 1897, il cui obiettivo era fondare uno stato per gli ebrei di tutto il mondo.  

Nel 1917, con la Dichiarazione Balfour da parte del governo britannico, viene promesso ai sionisti che, se avessero vinto la Prima guerra mondiale, il Regno Unito avrebbe dato loro la Palestina.  

Ma, nonostante la vittoria della Triplice intesa – Russia, Inghilterra e Francia – le ultime due nazioni in particolare non riuscirono a conquistare tutto il Medio Oriente.  

Infatti, solo dopo la Seconda guerra mondiale, nonostante l’Impero Ottomano fosse già crollato durante la Prima, le potenze vincenti, Francia e Inghilterra, grazie all’accordo segreto Sykes-Picot, si divisero il Medio Oriente, e l’Inghilterra riuscì a ottenere la Palestina.  

Nel frattempo l’immigrazione di massa continuava, aumentando sempre di più, e nel 1908 gli ebrei erano circa il 5%. Tra il 1918 al 1945, soprattutto dopo la Seconda guerra mondiale e l’Olocausto, la percentuale passò dal 5% al 11%.

Ma quale sarà stata la reazione della popolazione palestinese a queste continue ondate migratorie nel loro territorio?  

Oggi sono molti coloro che sostengono che i palestinesi reagirono con violenza fin dal principio, e che le due popolazioni non si accettarono a vicenda; in realtà, però, i palestinesi accolsero gli ebrei a braccia aperte, aiutandoli, e le due comunità vissero in pace. Infatti, dopo la fine della Seconda guerra mondiale, nel 1947 in Palestina arrivò una nave colma di rifugiati ebrei con un cartello con la scritta: “I tedeschi hanno distrutto le nostre famiglie e case, non distruggete la nostra speranza”.   

 Allora come si è arrivati a questo punto?

Tutto andava per il meglio finché alcuni partiti armati formati dai sionisti non iniziarono ad attaccare i palestinesi, cercando di cacciarli per occupare tutto il territorio e creare il loro Stato.  

Tra questi si ricordano i partiti “Haganah” e “Irgun”, che seminarono terrore tra i locali con l’obiettivo di una vera e propria pulizia etnica dei palestinesi per mezzo di massacri.  

Uno dei più feroci fu il massacro di “Deir Yassin”, durante il quale furono trucidate decine di persone, tra cui moltissime donne e bambini. 

I palestinesi cercarono di difendersi per impedire ai sionisti di occupare la loro terra, ma trovandosi in una posizione di svantaggio, non riuscirono a ottenere grandi risultati. Infatti, le armi dei partiti sionisti erano fornite dagli inglesi, e di conseguenza tecnologicamente più avanzate rispetto a quelle dei palestinesi.   

Inoltre, il massacro di “Deir Yassin” causò una fuga di massa: circa tre quarti della popolazione palestinese (più di 750.000 persone) fu espulsa dalla sua stessa patria durante la fondazione di Israele sul 78% del territorio della Palestina. Questo evento è oggi noto come Nakba (“catastrofe” in arabo). 

A complicare la situazione era la condizione degli ebrei in Europa dopo la Shoah; questi pretendevano un proprio Stato, e le potenze europee che si sentivano colpevoli per ciò che era successo durante il conflitto, in particolare gli inglesi, chiesero aiuto all’ONU.  

Il piano era quello di dividere la Palestina in modo tale da ottenere due Stati diversi e autonomi, indipendenti e separati l’uno dall’altro, uno palestinese e uno ebraico.

Queste divisioni, però, non erano eque, infatti troppi erano i territori dati agli ebrei, nonostante fossero in minoranza.  

Nel 1948 il Primo Ministro israeliano David Ben Gurion proclamò la nascita dello Stato d’Israele senza l’approvazione dell’ONU o dei palestinesi.  

Una questione inizialmente limitata entro due comunità divenne mondiale, coinvolgendo tanto i paesi occidentali quanto quelli orientali.  

La reazione degli Stati arabi, tra cui Giordania, Yemen, Iraq, Egitto, Siria e Libano, che facevano parte della Lega Araba, fu quella di dichiarare guerra al neonato Israele.  

Da quel momento in poi fu un susseguirsi di conflitti senza sosta: Israele iniziò a occupare i territori affidati al popolo palestinese, e di conseguenza più di un milione di locali diventarono profughi, fuggendo nella vicina Giordania, o in Libano, Siria ed Egitto.  

Tra il 1940 e il 1950 sorsero nuovi movimenti politici, soprattutto in Egitto, quali “I Fratelli Musulmani” e il “Nazionalismo Arabo”. Il primo insisteva sull’aspetto religioso, mentre il secondo su quello militare, ma se c’era una cosa che entrambi i movimenti avevano in comune, era l’odio verso i paesi occidentali, causa prima di tutto ciò che era successo.  

Tutti i partiti arabi che si erano formati in quegli anni erano contro la nascita illegittima dello Stato di Israele.  

Nel 1967 scoppiò la Guerra dei Sei Giorni contro Giordania, Siria e Egitto, come risposta a Nasser, presidente dell’Egitto che aveva preparato un esercito contro Israele, chiudendo l’accesso al Mar Rosso nello stesso anno.  

Nel 1964 nasce Fateh/OLP (Organizzazione per la Liberazione della Palestina), che fungerà da quel momento in poi da rappresentante del popolo palestinese.  

Tra le figure più importanti troviamo Yasser Arafat, il quale nel 1969 fu a capo dell’Organizzazione.  

Dopo una serie di conflitti che sembravano infiniti, gli arabi si arresero, realizzando che ormai non esisteva nessuna soluzione, se non tentare di riportare la pace e riconoscere Israele come uno Stato.  

Infatti, nel 1993 vengono stipulati gli Accordi di Oslo, che sembravano aprire una buona strada per il raggiungimento della pace e la creazione di “due Stati, due popoli”.  

Anche questo tentativo però andò in fumo. Né gli Stati europei né Israele sembravano veramente intenzionati a fare ciò.  

Ad ogni attacco di Israele, milioni di palestinesi erano costretti a fuggire nei vicini paesi mediorientali. Altri invece si spostavano all’interno della stessa Palestina, migrando in nuove zone come, per esempio, la Striscia di Gaza.  

Lí, gli abitanti volevano fare qualcosa per difendere la propria terra, e così nel 1987, durante la Prima Intifada (Guerra delle Pietre) nasce, grazie a Ahmed Yassin, il partito armato Hamas che, con il passare del tempo, divenne sempre più forte, prendendo il posto di Fateh.  

I conflitti continuarono, i primi a provocare e attaccare furono sempre gli israeliani, come nella Seconda Intifada del 2002 – tutto ciò per 75 anni.  

Ma torniamo al 2023.   

Hamas da Gaza attacca i confini israeliani, mandando missili e prendendo alcuni ostaggi. Da quel giorno la guerra continua.  

Ma la risposta di Israele all’attacco non è altro che l’ennesima atrocità nei confronti della popolazione palestinese.  

Entrano nelle abitazioni delle famiglie e prendono chiunque, mettendolo in prigione, soprattutto ragazzi e bambini. Ospedali, case, scuole, ed edifici pubblici e privati vengono bombardati senza sosta, con la scusa che Hamas si nasconda lì, sotto terra, anche se i militanti non si trovano effettivamente lì.  

In poco più di un mese sono morte oltre 15000 persone, di cui la maggior parte – 80% – sono bambini e donne. Gaza è ormai una prigione a cielo aperto in cui non esiste più alcun luogo sicuro; anche volendo uscirne, infatti, l’intera area è controllata dal governo israeliano.  

Tutto ciò non può nemmeno essere considerato una vera guerra, dato che una delle due parti è nettamente in svantaggio: i palestinesi non hanno un esercito, e le armi e le tecnologie belliche non sono efficaci quanto quelle israeliane.  

È come se la storia si ripetesse, ma ribaltando i ruoli: coloro che erano stati privati di ogni diritto, della propria identità e dignità, finiscono per diventare gli oppressori.  

Non è un conflitto, ma un vero e proprio genocidio.  

Israele si può macchiare di tutti i crimini di guerra, perpetrando liberamente ogni sorta di attacco senza subire conseguenze, come se i palestinesi fossero le loro pedine da muovere a loro piacimento.  

E la cosa peggiore è che tutto il mondo non interviene, resta in silenzio e permette che vengano compiuti crimini chiaramente contro l’umanità.  

Non ha senso giustificare il genocidio che sta accadendo davanti ai nostri occhi, non quando lo stesso governo israeliano considera i palestinesi non esseri umani, ma come animali da macello, quasi non avessero diritto di vivere.  

Se Hamas è un’organizzazione terroristica, come si può definire lo Stato di Israele? Come può essere definito uno Stato che per 75 anni ha sfruttato e ucciso la popolazione, rispondendo con un genocidio a una forma di resistenza di un popolo distrutto?  

Ciò che accade oggi non è altro che la conseguenza di anni e anni di ingiustizie e soprusi; eppure, anche se succede da sempre, nessuno ne parla.  Solo quando Hamas ha attaccato Israele il mondo si è improvvisamente svegliato. Ormai tutti i media e telegiornali ne parlano, ma mostrano solo una faccia della medaglia.  Ostacolare apertamente Israele significherebbe inimicarsi le grandi potenze del mondo.

Una soluzione appare ormai introvabile, nonostante il problema non sarebbe mai dovuto sussistere, data l’illegittima esistenza di Israele. 

Dopotutto i palestinesi non sono “persone bianche”, sono stranieri, quindi non è un problema, giusto?  

Ma non possiamo abbandonarli, anche noi con il nostro piccolo possiamo fare la differenza.  

Non bisogna smettere di parlarne, dobbiamo informare sempre più persone. Quello che sta succedendo in Palestina non deve essere dimenticato, tutte le vittime che continuano a crescere ogni giorno, ogni ora, non devono essere solo dei “numeri”.  

Per sostenere la Palestina non bisogna essere musulmani o palestinesi, solo esseri umani. 

Alshayeb Layan 1BC 

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