Buio e oscurità, questo vedevo. No, c’era anche una scalinata di pietra, conduceva verso i meandri del sottosuolo ed era piena di topi. Ma questi non stavano scendendo: scappavano da quella pozza di vuoto, andando nella direzione opposta. E poi fiamme, solo e soltanto fiamme.

«Lilith!» esclamò la mia insegnante, sbattendo il libro di letteratura sul banco e svegliandomi dal mio riposo «ti va per caso di farci un riassunto della lezione?»

Mi guardai intorno, spaesata: tutti i miei compagni di classe stavano fissando me, sogghignando, e sulla lavagna c’era scritto qualche appunto che non riuscii a decifrare.

«Ehm…» tentai di accennare, quando il confortante suono della campanella mi salvò da quella situazione imbarazzante.

La professoressa mi lanciò un’occhiataccia, abbassando leggermente gli occhiali neri che portava sul naso, e da quello sguardo capii all’istante che mi avrebbe messo una nota di demerito per aver dormito durante la sua ora.

Uscii il più velocemente possibile dall’aula, affrettandomi verso il mio armadietto per depositare i manuali di testo, recuperare lo zaino e dirigermi a casa.

«Hai di nuovo dormito in classe, Lizzie?» domandò una voce nota alle mie spalle.

«Come fai a saperlo?» esclamai voltandomi di scatto verso Ezra.

«Beh…» cominciò lui, «hai i capelli scompigliati e pieni di nodi, le tue occhiaie si vedono a un chilometro di distanza e cammini come uno zombie»

«Gne, gne» mi limitai a dire io con una risata sarcastica.

Dopodiché, afferrai la mia cartella ed estrassi una spazzola per conferire un minimo di decenza alla mia chioma corvina, mentre non provai nemmeno ad applicare una punta di correttore alle velature che mi accerchiavano gli occhi: tanto mi sarei certamente riaddormentata appena seduta.

Quando ebbi finito di sistemarmi, io e Ezra iniziammo a percorrere i lunghi corridoi del nostro liceo per attraversare  la porta d’ingresso e dirigerci verso la fermata del bus.

«Ci vediamo domani, il mio è arrivato» mi disse una volta sul marciapiede.

Gli feci un cenno di saluto e aspettai pazientemente l’arrivo del pullman, quando a un certo punto la scuola, gli studenti e il marciapiede scomparvero: riapparì dinanzi a me quel buio pesto e tetro, ma stavolta non riuscivo a vedere la scalinata. Solo fiamme. E dentro  ad esse, ombre.

Non ricordavo di aver chiuso gli occhi, eppure si spalancarono di colpo, e vomitai per terra.

Poi sollevai lo sguardo e mi accorsi di essere sola, quindi controllai l’orario: erano passate due ore da quando Ezra se n’era andato.

Avevo perso il pullman, sarei dovuta tornare a casa a piedi. Una forte ondata di pura rabbia mi assalì da cima a fondo: mi capitava spesso di avere delle “visioni”, ma non in momenti così rilevanti.

Non ce la feci, l’ira si impadronì di me: cacciai un urlo acutissimo e percepii le mie palpebre incendiarsi. 

E tutt’a un tratto, cominciò a tuonare.

Camminare un’ora con un temporale in corso non era il massimo, ma dovetti farlo. Incappucciata dalla mia felpa nera, tentai di arrivare a casa per cena, non curandomi delle continue chiamate di mia madre.

Quando finalmente rincasai, inzuppata e fradicia, lei  mi riempì di domande e, come al solito, fui costretta a mentirle: «Stavo aspettando il bus, ma mi sono addormentata per un po’, così sono dovuta tornare a piedi»

Lei mi credette, siccome sapeva benissimo della mia consuetudine di appisolarmi dove capitava, così mi permise di andare a farmi una doccia calda e di infilarmi nel letto per rilassarmi prima di cena.

Per far passare il tempo, decisi di recuperare gli appunti di letteratura su Dante Alighieri, dato che mi ero persa la lezione a causa di uno dei miei soliti abbiocchi: la prof aveva ormai terminato la spiegazione dell’Inferno, la mia cantica preferita. Poi, mia madre mi chiamò per cenare.

Appena tornai nella mia stanza, mi accorsi che il cassetto del mio comodino emanava una strana e fluorescente luce rosso fuoco, perciò lo aprii senza esitare: essa si dissolse.

Tuttavia, la cosa ancora più strana era che provenisse da un medaglione che avevo fin da piccola: raffigurava un teschio, posizionato al centro, circondato da dei curiosi simboli. Non rimembravo nemmeno da dove giungesse; mi sembrava di averlo trovato in un bosco, da bambina, ma non ne ero completamente certa. Il ricordo era quasi completamente offuscato, non ne sapevo la ragione. Quel bagliore improvviso mi turbò, non sapevo se fosse stato frutto della mia immaginazione o meno, ma non mi soffermai troppo su ciò: mi limitai a mettermelo al collo, cosa che non facevo da anni, e a vestirmi per andare a fare una passeggiata, magari con Ezra. 

Gli telefonai e ci demmo appuntamento al nostro parco preferito. 

In effetti, a pensarci bene, quel medaglione rimandava la mia mente a situazioni alquanto insolite: ricordavo che avevo l’abitudine di indossarlo tutti i giorni quando frequentavo le elementari, motivo per cui venivo costantemente bullizzata, sono sempre stata considerata “la ragazza strana”..

Perciò, una volta iniziate le medie, avevo smesso di portarlo al collo, in modo da evitare di essere presa in giro dai nuovi compagni, anche se ciò accadde lo stesso.

Non avevo mai avuto degli amici, Ezra era l’unica persona che avesse mai osato avvicinarsi a me e ciò era avvenuto durante il primo anno di liceo.

Quando finalmente arrivai al parco, Ezra era già lì, seduto su una panchina.

«Lilith! Eccoti qua» mi salutò con un sorriso.

«Ehi, come va?» gli domandai.

«Tutto bene, sommerso di studio come sempre, tu invece?»

Inizialmente non seppi come rispondere, ma sentivo un irrefrenabile bisogno di sfogarmi, perciò presi la decisione di confidargli tutto: «Sai, è già da un po’ di tempo che mi succedono dei fatti strani»

Mi guardò con un’espressione perplessa: «E di che tipo?»

Mi sedetti anch’io sulla panchina, di fianco a lui: «succede specialmente quando mi arrabbio… »

«Ti riferisci a quando ti diventano gli occhi rossi?»

La mia testa si voltò nell’immediato verso di lui, ero allibita: non me n’ero mai resa conto prima di quel momento.

«I miei occhi diventano rossi quando mi arrabbio?»

«Beh, sì, diciamo… perdi le staffe molto frequentemente e nella maggior parte dei casi senza ragione, perciò sinceramente non saprei…»

Incrociai le braccia: «Cosa vorresti insinuare?»

«Sto solo dicendo che sei suscettibile, mi capita spesso di notare del rosso nei tuoi occhi perciò, col tempo, ho iniziato a pensare che si trattasse di un contrasto cromatico dovuto alla luce»

«Ho sbagliato a sollevare l’argomento con te», feci per alzarmi, ma lui con una mano mi tirò il braccio, fermandomi. Poi, si pose dinanzi a me dicendomi: «Ascolta: se ti ho offeso, mi dispiace, non era mia intenzione. Conoscendoti, adesso che ti ho fatto arrabbiare, non proseguirai il discorso, perciò facciamo così: adesso camminiamo un po’, che voglio portarti in un posto, poi, appena te la sentirai, continuerai a parlarmi del tuo problema. D’accordo?»

Annuii, accennando un lieve sorriso, prima che Ezra mi schioccasse un bacio sulla guancia e mi fece cenno di seguirlo.

Proseguimmo lungo un viale in cui non ero mai stata, buio e deserto: tutti i lampioni erano rotti, solo il nulla lo illuminava. Al suo termine, giungemmo davanti a un piccolo negozio, l’unico aperto, visto che era mezzanotte, e con le luci accese, che gli conferivano un po’ di allegria messo a confronto con tutti gli altri edifici trasandati.

L’insegna, sulla quale vi era scritto “Sybil” era di un viola intenso, contornata da dei led bianchi, i quali facevano apparire il tutto quasi mistico; delle tendine, sul lilla, erano poste in vetrina dietro a dei piccoli scaffali contenenti oggetti di stregoneria e magia nera, come sfere, tarocchi, calderoni di medie dimensioni, candele, cristalli e acchiappasogni.

«E così, è qui che volevi portarmi?» chiesi a Ezra.

«Sì,» rispose «ho scoperto questo posto l’altro giorno, per sbaglio»

Risi: «Per sbaglio?»

«Già, avevo sbagliato bus. Entriamo?»

Varcò la soglia, senza aspettare che gli dessi una risposta, e io lo seguii.

Ancora non sapevo che quello strambo negozio mi avrebbe dato tutte le risposte che cercavo.

L’interno era straordinariamente disordinato,  totalmente in contrasto con le vetrine: c’erano altri aggeggi strani buttati su tavolini di legno e una piccola cassa, rotta per giunta, posizionata in fondo alla stanza su un tavolo di pietra ammaccato.

A parte me ed Ezra, non c’era nessuno.

«Perché mi hai portata qui?» gli chiesi.

«Appena sei arrivata al parco, non ho potuto fare a meno di notare il tuo medaglione, l’avevo visto solamente una volta in un tuo cassetto. Non l’hai mai indossato, no?»

«No» mentii.

«Ecco,» continuò lui « così ho ipotizzato un nesso tra il gioiello e il discorso a cui hai accennato»

Notai che aveva smesso di fissare la stanza per girarsi verso di me, perciò annuii col capo.

«Penso che tu creda che ci sia qualcosa di “magico”   – mimando le virgolette con le dita – in tutto ciò.  Certamente non so quanto possa essere probabile, ma togliersi il dubbio non costa nulla, no?»

«No» dissi di nuovo.

Non mi ero accorta che sulla destra erano presenti delle altre tendine viola sul muro, che conducevano in un’altra stanza: ci feci caso solamente quando ne spuntò fuori una donna dalla carnagione chiara e dai capelli castani, folti, ricci e ornati da una fascia viola scuro e da pietrine colorate; l’abito che indossava era a balze sui toni dell’indaco e le arrivava fino alle caviglie, con dei ghirigori argento; portava dieci anelli, uno per ciascun dito, e i suoi polsi erano colmi di braccialetti; inoltre, ai suoi lobi erano appesi due enormi orecchini, uno a forma di Luna e l’altro a forma di Sole.

Ci mise un po’ a notare la nostra presenza e quando lo fece ci rivolse un candido sorriso: «Ben arrivati! Io sono Sybil, posso esservi utile?»

«Salve, Sybil. Io sono Ezra e lei è Lilith. Mi domandavo se fosse possibile effettuare una seduta spiritica»

Le sue braccia si librarono nell’aria, come se fosse sul punto di abbracciarci: «Ma certo! Oddio, quanto tempo è passato dall’ultima volta che me l’hanno chiesto!»

Poi, si avvicinò a me, mi scrutò da capo a piedi e annusò l’aria: «Percepisco una presenza» disse, dopodiché si diresse verso la stanza da cui era appena uscita.

«Che tipo di presenza?» domandai.

Lei tornò a guardarmi e lentamente scandì le parole: «Una presenza demoniaca»

Ed entrammo tutti e tre nel retrobottega.

Angelica Alfieri, 3 CS

Copertina a cura di Asia Balpasso, 3 BS

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