Fin dove siamo disposti a spingerci per amore? quanto siamo in grado di perdonare in virtù di questo? è un sentimento così forte da rendere ciechi di fronte all’inammissibile? 

E’ questo il turbine di domande che mi ha travolta nel momento in cui ho voltato l’ultima pagina di   It ends with us, un libro scritto da Colleen Hoover e che, a mio avviso, è riduttivo etichettare come semplice romanzo romantico. In occasione della giornata mondiale contro la violenza sulle donne ho pensato quindi di presentare questo libro, che ha come tema principale uno tra i più forti, crudi e purtroppo ricorrenti argomenti: la violenza domestica. 

E’ una sera come tante nella città di Boston e su un tetto, dodici piani sopra la strada, Lily Bloom, protagonista del romanzo, sta fissando il cielo limpido e sconfinato. E’ sua abitudine schiarirsi le idee lassù, dove può godere dell’aria fresca e del silenzio del quale il suo appartamento è sprovvisto. Il suo animo è ancora in subbuglio in quanto poche ore prima ha partecipato al funerale del padre, un uomo che non ha mai rispettato né stimato. Lily nel corso della sua infanzia, infatti, è stata un’osservatrice impotente delle violenze del padre che, affetto da alcolismo, infliggeva alla madre. Nonostante le suppliche della figlia la madre non ha mai lasciato l’uomo, continuando a giustificarlo e a perdonarlo. E’ mentre ripensa a questi episodi che fa il suo ingresso Ryle Kincaid, un affascinante neurochirurgo totalmente concentrato sulla carriera e sull’evitare qualunque relazione. Eppure, nei mesi successivi, Ryle sembra non riuscire a stare lontano da Lily, finendo per cedere ai sentimenti e all’attrazione che prova per lei. La vita di Lily sembra volgersi per la prima volta al meglio: gestisce il negozio di fiori dei suoi sogni, ha per la prima volta una migliore amica (Alyssa) che la sostiene in tutto e per tutto, ma soprattutto il premuroso amore della sua vita. Ryle viene descritto per la maggior parte della storia come l’uomo perfetto, dolce, sensibile, altruista. Non fa mancare mai niente a Lily nonostante la vita impegnata che conduce, facendola sentire speciale e dimostrando con grande naturalezza e genuinità il suo sincero amore. Insomma, è impossibile, tanto per lei quanto per noi lettori, non innamorarsi del suo personaggio. E penso sia stato proprio questo l’intento della Hoover: rivelare solo pian piano, pagina dopo pagina, il cattivo della storia. O forse non dovrei definirlo in tal modo, poiché lo stesso libro mi ha insegnato che le persone cattive non esistono; esistono semplicemente persone che a volte fanno cose cattiveE’ difficile odiare Ryle, provare quella repulsione che generalmente pensiamo di dover provare di fronte ad un uomo violento, in quanto sembra essere vittima di se stesso. Ogni volta, in seguito ad un atto violento, si pente realmente, mostrandosi mortificato, incredulo di fronte a ciò che è stato in grado di fare e in lui riemerge l’uomo al quale ci siamo affezionati nel corso della prima parte della narrazione. Al primo schiaffo Lily, proprio come il lettore, tenta di perdonarlo, di trovare una spiegazione razionale a quel comportamento che proprio non si addice ad un uomo così dolce. Pensa poi di poterlo aiutare nel momento in cui si verifica la seconda violenza, ovvero la spinta dalle scale. Dopo essere stata violentata, però, apre gli occhi, comprende la realtà dei fatti, l’infondatezza delle promesse di quello che nel frattempo è diventato suo marito e se ne allontana, grazie anche all’aiuto di Atlas, il suo primo grande amore che mai scorderà, e della madre, che in un momento di confidenza con la figlia le rivolge delle parole significative

Non agire come me, Lily. Credi che Ryle ti ami, e sono sicura che sia così, ma non ti ama nel modo giusto. Non ti ama nel modo in cui meriti di essere amata. Se ti amasse veramente, non ti permetterebbe di tornare da lui. Deciderebbe di lasciarti per essere certo di non poterti più fare del male. E’ questo il tipo di amore che una donna merita. 

Uno degli aspetti che più ho apprezzato di It ends with us è il rispetto con il quale si riferisce alle donne vittime di violenze, che nella quotidianità vengono spesso ingiustamente colpevolizzate. Il libro insegna che perdonare o denunciare, ricominciare o lasciare, non costituiscono dei criteri per distinguere una donna fragile da una coraggiosa e lo fa proprio attraverso la voce della protagonista: 

Le persone che non vivono situazioni come queste si chiedono spesso perché la donna torni dal suo aguzzino. Una volta ho letto da qualche parte che l’ottantacinque per cento delle vittime ha questa tendenza. E’ stato prima che mi rendessi conto di essere una di loro e, quando ho sentito questo dato, ho concluso che erano tutte stupide e deboli. Avevo pensato le stesse cose di mia madre in più d’un occasione. Ma a volte la ragione per cui le donne tornano indietro è semplicemente che sono innamorate. Vorrei che fosse facile cancellare i sentimenti per la persona che mi ha fatto del male, come credevo. Impedire al proprio cuore di perdonare chi si ama è molto più difficile che perdonarlo e basta. Ora sono un numero. Le cose che pensavo delle donne come me sono ormai quelle che gli altri penserebbero di me se conoscessero la mia situazione attuale. Come può amarlo dopo quello che le ha fatto? Come può pensare di riaccoglierlo? E’ triste che questi siano i primi pensieri a passarci per la mente quando qualcuno è vittima di violenza. Non dovremmo essere più disgustati dagli aguzzini che da coloro che continuano ad amarli?

Giorgia Lorenzin 3CE

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