Sono ormai parecchi decenni che, a partire dalle prime missioni spaziali sovietiche condotte negli anni 50’,
spesso l’attenzione dei giornali e dei media viene catturata da fatti di cronaca riguardanti razzi, sonde e
macchine, le quali, solcando il cielo, raggiungono lo spazio extraterrestre così da compiere un’esplorazione
materiale del cosmo, rendendo ogni volta possibile ciò che una ventina di anni prima era considerato
fantascienza.
Sin dai tempi delle prime civiltà antiche l’uomo si è dedicato allo studio del cielo, registrando e poi
calendarizzando i fenomeni celesti, spesso ammirati quasi divinamente, come nel caso delle eclissi, ed
esaminando le stelle, raggruppandole in costellazioni. 
La Settimana Mondiale dello Spazio (“World Space Week”), dal 4 al 10 Ottobre, è una celebrazione
internazionale dei contributi che lo spazio, la scienza e la tecnologia portano al miglioramento della
condizione umana, e ci ricorda quanto siano stati importanti per l’umanità quegli studi portati a termine
dagli antichi, che da semplici osservazioni visive del cielo sono diventate vere e proprie esplorazioni; come
sarebbe stato possibile infatti viaggiare per i mari e gli oceani senza potersi orientare guardando le stelle? O
com’è possibile al giorno d’oggi collegarsi a internet nei luoghi a cui l’ADSL terrestre non arriva senza la
connessione a banda larga satellitare, resa possibile grazie a delle antenne lanciate in orbita dall’uomo?
Ebbene, per quanto sarebbe interessante trattare in questo articolo dei traguardi in ambito pratico di
questi studi, vorrei invece ricordare quanto la ricerca scientifica in ambito astronomico e l’esplorazione
fisica del cosmo siano importanti anche in ambito teorico, senza un’applicazione pratica. È vero che, senza
la conoscenza delle costellazioni, le esplorazioni geografiche difficilmente sarebbero avvenute con tale
facilità e che grazie alle scoperte moderne ci sono satelliti in orbita che ci forniscono numerosi servizi, ma
bisogna anche considerare l’importanza a livello di conoscenza personale e di consapevolezza che questo
progresso ci ha garantito.

Anche di questo, secondo me, dovremmo essere grati agli studi del cosmo, in quanto ci hanno fatto
riflettere per la prima volta veramente sulla nostra impotenza nei confronti delle leggi della natura. Se
prima, conoscendo solo la terra, eravamo convinti di poter raggiungere ogni luogo e vivere ogni esperienza,
ora sappiamo che le nostre vite contano come millisecondi nell’orologio degli eventi cosmici e che
difficilmente siamo in grado di allontanarci dal nostro pianeta madre, o di modificare l’universo come già
facciamo con l’ambiente terrestre: nell’universo le galassie orbitano tra di loro, si scontrano, le stelle
nascono, muoiono in supernovae e danno origine a buchi neri, tutto nel corso di milioni e miliardi di anni,
mentre noi, alla velocità della luce (la velocità massima che un corpo può raggiungere) ci impiegheremmo
decenni anche solo per uscire dal sistema solare e raggiungere un altro sistema vicino.
Traendo le conclusioni, mi sembra ovvio sottolineare come, nonostante i progressi in ambito spaziale, la
ricerca ci pone davanti a dilemmi di questo tipo, mettendo in discussione la centralità del ruolo della specie
umana a cui sempre abbiamo creduto e che ci piace sostenere, nel corso degli eventi dell’universo, e
obbligandoci a constatare che, se siamo così piccoli e insignificanti, noi, umani del ventunesimo secolo che
con razzi, satelliti e sonde solchiamo il cielo per studiare il cosmo, non siamo tanto diversi dai primi studiosi
antichi del cielo, in quanto entrambi possiamo solo osservare con magnificenza i fenomeni, riflettendo
riguardo a quanto siamo insignificanti nei confronti di questi.

Ludovico Stocco 4BC

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