“Λάθε βιώσας” (lathe biosas) diceva Epicuro, vivi nascosto; da buona classicista in via di congedo, apro questo articolo con una citazione filosofica che ha a che fare con la vita della nostra autrice più di quanto pensiate. Elena Ferrante nasce a , il del . Non avete letto male e non c’è stato alcun errore di stampa: di Elena Ferrante, infatti, non ci è noto assolutamente nulla. “Perché parlare di una scrittrice muta e senza volto?” potreste chiedervi, ebbene, trovo che sia proprio questa sua volontaria invisibilità editoriale a renderla degna d’attenzione: nel suo “La Frantumaglia”, raccolta del 2003 di mail, lettere e appunti, ella sottolinea più e più volte l’imperativo categorico di non mostrarsi in pubblico in virtù di un principio per il quale i libri non hanno più bisogno degli autori, una volta che sono stati scritti, essi parlano da sé. La tetralogia de “L’amica geniale” non è stata la sua prima pubblicazione, per trovarla bisogna risalire al 1992 con “L’amore molesto”, un thriller psicologico alla presentazione del quale, l’autrice non si è mai presentata; Elena Ferrante rifiuta di farsi vedere in pubblico sin da quando è apparsa sulla scena editoriale italiana e rifiuta di farlo tutt’oggi nonostante la sua fama sia giunta oltreoceano, dove ha persino dato vita ad un fenomeno conosciuto come “Ferrante fever”. Nonostante questa scelta normalmente sia controproducente per uno scrittore, la Ferrante non ha mai ceduto in merito alla sua decisione, essendo contraria alla tendenza editoriale e pubblicitaria di focalizzarsi più sull’autore che sull’opera in sé- fatto che, come abbiamo già detto, l’autrice vuole assolutamente evitare. Ella però non è un’autrice muta, è bene sottolinearlo: mantiene, attraverso mail e lettere, una corrispondenza con il proprio editore, E/O, con alcuni fortunati lettori, e con i registi dei film e della serie tv tratti dai suoi romanzi- le attrici protagoniste della serie tv tratta da “L’amica geniale”, Margherita Mazzucco e Gaia Girace, hanno raccontato che, durante i giorni di riprese, aspettavano tutti con ansia mail dall’autrice, la quale faceva richieste in merito alla rappresentazione di una specifica scena o domandava dei progressi nella registrazione. Questa capacità di far udire la propria voce pur non avendo un corpo pubblico, è un tratto che le è sempre stato rimproverato da vari critici e giornalisti, indignati dall’esibizione della sua assenza e al contempo velenosamente curiosi di scoprire chi si celi dietro la penna della Ferrante. Un esempio di tale malsana curiosità è il giornalista Claudio Gatti che, dopo un lungo periodo d’inchiesta, nell’ottobre 2016 pubblicò sul Sole 24 Ore e altri quotidiani un articolo che vedrebbe in Anita Raja, traduttrice per la stessa casa editrice e moglie di Domenico Starnone, la vera Elena Ferrante; a tale risultato però nessuno ha mai dato molto peso, purtroppo per Gatti, e le pubblicazioni successive hanno continuato a “vendersi da sole”, nella perpetua ignoranza dell’identità dell’autrice- inoltre mi ha fatto molto ridere scoprire che, non molto tempo dopo, lo stesso Gatti ha pubblicato un secondo articolo in cui si lamentava della mancata attenzione da parte dei media per la sua rivelazione. La delusione del povero Claudio Gatti è la prova della ragion d’essere dell’assenza-presenza della Ferrante: nel suo non donare un corpo al nome di chi scrive ciò che ci appassiona, crea uno spazio creativo tra autore e lettore in cui quest’ultimo può vivere completamente l’invenzione letteraria del romanzo, senza condizionamenti esterni, come la biografia o dichiarazioni altre. 

La tetralogia de “L’amica geniale”, composta da un titolo omonimo, “Storia di un nuovo cognome”, “Storia di chi fugge e di chi resta” e “Storia della bambina perduta”, pubblicata tra il 2011 e il 2014, costituisce il suo successo più grande. Attraverso l’amicizia di Lenù e Lila, iniziata tra i banchi di una scuola elementare e seguita fin nella vecchiaia, la Ferrante descrive un’Italia che cambia, dalle ceneri del dopoguerra, al grande risveglio degli anni ’70 e alla quiete dei primi anni 2000. Personalmente, per quanto la mia esperienza di lettrice diciottenne sia limitata, mai mi sono sentita rappresentata in quanto persona e donna, con le complessità e i difetti che caratterizzano gli esseri umani, come in queste righe; non esistono buoni e cattivi nei romanzi della Ferrante perché la realtà non è né bianca né nera, ma una serie di scelte complessa e impossibile da giudicare. Il suo è un romanzo vivo, fatto di tinte brillanti e un lessico impavido, che non teme di mostrare la durezza o lo squallore; quelle di Lenù e Lila sono storie di due donne che tentano di cambiare la propria vita in un contesto restio al cambiamento, e in cui se stesse e la reciproca amicizia saranno l’unica cosa su cui poter contare.

Carla Polizzi, 5AC

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