Quante volte succede di ritrovarsi a parlare di dieta, di prova costume o del modo più efficace per perdere velocemente quei chili che ci paiono “di troppo”? Perché importa a tutti così tanto? Si è arrivati a definire questo fenomeno “diet culture”.
La cultura della dieta è un sistema di credenze che idolatra la magrezza del fisico e la pone sullo stesso piano della salute, mentale e fisica, o delle qualità morali, imponendo un’ideale di corpo talvolta irraggiungibile e svilendo chi non lo consegue. Questa incoraggia il dimagrimento, proponendo sempre una nuova e – apparentemente – migliore versione di sé, illudendo di mostrare quell’unico step necessario per apprezzarsi, essere apprezzati e dunque finalmente felici: la perdita di peso.
Capita spesso di sentire persone dal fisico e costituzione più svariati (e non solo le donne, come invece vorrebbe lo stereotipo!) parlare di diete, perdita di peso, prova costume… perché? Perché la cultura della dieta porta a pensare che l’unico corpo accettabile sia quello magro e che quindi il proprio valore di persona dipenda imprescindibilmente dall’aspetto fisico, indicando la dieta come l’unica risposta alle proprie insicurezze o problemi. Tuttavia, è necessario dirlo, un corpo magro non è sempre sinonimo di un corpo sano e così, allo stesso modo, un corpo grasso o “non perfetto” (solo secondo questi assurdi canoni sociali) non determina certamente il cattivo stato di salute di una persona.
In che modo, quindi, la cultura della dieta si impone su di noi? Basti pensare alle palestre, in cui si garantisce l’ottenimento di un certo aspetto; a quei trattamenti, spesso anche costosi, che promettono di far sparire in fretta i chili di cui ci si vuole liberare; agli alimenti etichettati come “privi di sensi di colpa”.
Innanzitutto, se anche tutti ci esercitassimo e mangiassimo allo stesso modo, i nostri corpi sarebbero comunque diversi: un corso in palestra seguito con regolarità, dunque, non può garantire nulla. Questi trattamenti si limitano a proporre un’immagine ideale da raggiungere, piuttosto che un effettivo segno di miglioramento della salute e, infine, il senso di colpa non è tra gli ingredienti di alcun prodotto: il fatto che alcuni di essi siano pubblicizzati come “privi di sensi di colpa” serve soltanto a farlo emergere quando si sceglie di consumare altro.
Un altro ruolo importante è quello giocato dai social. Quante volte ci si imbatte in foto che mostrano una persona “prima” e “dopo” una dieta con una didascalia in cui si spiega come questa persona abbia incredibilmente trovato la felicità?
Occorre capire che la cultura della dieta costituisce un problema per tutti: partendo da chi non raggiunge lo standard che la società impone e si sente squalificato dal proprio aspetto, arrivando anche a chi sacrifica la propria felicità per conformarsi a dei canoni che vede come imposti. Bisogna aggiungere che, talvolta, chi raggiunge la tanto bramata magrezza non lo fa rispettando tutte le esigenze del proprio corpo: le diete estreme a cui si ricorre possono portare, in certe circostanze, a disturbi alimentari.
Il problema non si individua nella perdita di peso in sé: questo insorge quando la perdita di peso si trasforma nel perno attorno a cui ruota la nostra vita e ogni chilo perso inizia a sembrare un gradino verso la felicità e la realizzazione di sé. La decisone di intraprendere una dieta, in un certo momento della propria vita, non è dannosa di per sé, tuttavia diventa deleteria nel momento in cui questa inizia ad occupare ogni pensiero (a tavola e non), ad influenzare le relazioni interpersonali e a trasformarsi quasi in un’ossessione. Rifiutare inviti a cena per timore di mangiare, controllare compulsivamente le liste degli ingredienti o saltare dei pasti per “potersi permettere un drink o una fetta di torta più tardi” sono solo alcuni esempi dei comportamenti che ci si sente costretti ad assumere.
Diversi personaggi pubblici si sono espressi contro la diet culture, come Lizzo e Demi Lovato, e alcuni si sono impegnati anche con progetti concreti, come I weigh, la piattaforma per l’inclusività creata dall’attrice e conduttrice televisiva britannica Jameela Jamil.
Come combattere questo sistema opprimente? Certamente il primo passo è individuare questa “cultura della dieta”, capire quando si manifesta e sapersene allontanare, ad esempio eliminando la dieta dalle proprie conversazioni e considerando l’inclusione di diversi tipi di corpi, tanto nei social quanto nella vita reale; è inoltre assolutamente necessario informarsi, comprendere l’alimentazione e quali siano i bisogni del nostro stesso corpo. Il cambiamento nel proprio fisico può avvenire anche quando si inizia a volersi bene e ad amarsi, non necessariamente quando si perde peso! Iniziare ad apprezzarsi può essere il primo (forse anche difficilissimo) passo verso la felicità.
Alessandra Perinetto 4^BC