Tra i riflettori, le statuine dorate e i miliardi di dollari del cinema mainstream è sempre più difficile trovare dei lavori genuini e autentici. Un’impresa ancora più ardua, secondo me, è individuare qualcuno che sappia realizzare film con queste caratteristiche mantenendo allo stesso tempo uno stile personale, riconoscibile e distintivo. A questo proposito, trovo che il regista messicano Guillermo del Toro sia uno degli esemplari più rari di questa “specie” in via di estinzione: i suoi film, infatti, si possono collocare in vari generi (dall’horror di “Crimson Peak” alla fantascienza di “Pacific Rim”), ma presentano, più o meno costantemente, quegli stessi elementi che li rendono unici e insostituibili nel panorama del cinema contemporaneo. 

Ma quali sono queste caratteristiche? E perché sono così importanti?

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In primo luogo, gli effetti speciali sono anche e soprattutto pratici: gli interventi in CGI sono ridotti al minimo indispensabile. Questo potrebbe sembrare un particolare di poca rilevanza ma esso ha un fine ben preciso, ovvero quello di ottenere performance più autentiche dagli attori, le quali influenzano a loro volta la nostra esperienza in quanto spettatori. In effetti, interagire con un attore trasformato in una creatura anfibia umanoide è ben diverso dal ripetere la stessa operazione con una sagoma verde non meglio definita.                                                                            

Altri due tratti distintivi dei suoi lavori sono, a mio parere, la magia e i mostri: entrambi questi elementi vengono però trattati in un modo che trovo radicalmente diverso da quello di altri film con lo stesso grado di notorietà e influenza. Spesso, infatti, nei film di del Toro possiamo ritrovare il cosiddetto realismo magico, un ambiente dove i confini tra ciò che noi definiamo realtà e fantasia vengono sfumati o del tutto abbattuti e in cui l’elemento magico viene messo a confronto con realtà dure e violente, come quella della guerra civile spagnola (in “The Devil’s Backbone”) o del regime fascista in Spagna (in “Il Labirinto del Fauno”). In questo rapporto, a volte simbiotico e a volte conflittuale, si collocano i cosiddetti mostri: fantasmi, fate, vampiri, creature antropomorfe non meglio definite eccetera.

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Tuttavia, se a un primo incontro i protagonisti ne sono intimoriti, spesso capiscono poi che queste creature sono una fonte insostituibile di conoscenze e risorse, utili a comprendere più a fondo il mondo che li circonda oppure loro stessi. Inoltre, una costante tematica che ho ritrovato nei film di del Toro che ho visto è questa: i veri mostri, spesso, sono proprio gli esseri umani.

Alla fine, questi sono solamente due tra i numerosi motivi per i quali, ad oggi, Guillermo del Toro è uno dei miei registi preferiti e penso che si possa discutere per ore delle sue opere, dei loro meriti e della loro importanza, opere che sanno emozionare davvero, facendo riemergere quella pura e innocente meraviglia che è stata da tempo, tristemente, dimenticata.

Irene Peloia 5as

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