Appena ci ritrovammo tra quelle mura, capii all’istante che qualcosa sarebbe andato storto. Non solo qualcosa, sicuramente tutto. Quei giorni rappresentarono l’inferno in carne e ossa, perché era proprio lì che ci trovavamo, negl’Inferi.  

“Kevin, hai preso tutto?” mi chiese mia madre quel giorno.  

“Sì, non preoccuparti!” risposi.  

Tenda, sacco a pelo, cibo, acqua, marshmellow… avevo tutto. Presi il giubbino dall’attaccapanni, uno di quelli leggeri, del resto era agosto. Dopo questo, Mike mi telefonò, informandomi che era sotto casa mia ad aspettarmi: potevo sentire le ragazze che mi prendevano in giro per la mia lentezza! Mi affacciai alla finestra ed effettivamente erano in macchina, ad urlarmi contro. Lanciai lo zaino dalla finestra e Jasmine lo raccolse con le sue mani lisce e pallide. La sua chioma scura era illuminata dalla luce solare del 4 agosto, i suoi occhi azzurri si potevano descrivere come due laghi, profondi e intensi. Mi avvicinai alla porta, ma mi ritrovai dietro Ginny, la mia sorellina, che mi porse un bracciale dai nastri viola e verdi esclamando, entusiasta: “È un portafortuna per il viaggio… torna presto!”  

Mi abbassai e le risposi: ”Mi mancherai molto Ginny Carter” e le mostrai il segno del battipugno. Per avere sei anni era una bambina molto moderna!  

Finalmente riuscii a varcare la porta e ad entrare in macchina con i miei amici. L’avventura ebbe inizio.  

Per la prima volta ero fuori New York senza i miei genitori. Eravamo solo io, Mike, Jasmine, Jenny ed Allison. Dopo tre estenuanti ore di viaggio, arrivammo al bosco dove poi ci accampammo. Verso sera ci sedemmo intorno al fuoco per cenare e raccontarci storie paurose. Mike, avendo diciannove anni, si definì troppo grande per queste pagliacciate; così iniziò la più piccola del gruppo, Jenny, una ragazzina di quindici anni dal volto sorridente, solcato da lentiggini e da lunghi capelli biondi raccolti in uno chignon. Ci raccontò del malvagio spirito dei boschi: un taglialegna rimasto schiacciato da un albero, adesso girovagava per il bosco a tagliare le teste dei campeggiatori al posto degli alberi. Provai a intimorire Allison colpendola sulla nuca, e ci riuscii: era una ragazza che si spaventava facilmente!  

“Ma sei fuori! No, scusami tu hai problemi!” controbatté al mio scherzo, ridendo. In tutto il gruppo era la persona con cui avevo maggiore confidenza, essendo mia coetanea. L’unico maggiorenne era Mike, gli toccava continuamente ricoprire il ruolo di ”babbo” della situazione, non perché fossimo noi a chiederglielo, voleva solamente atteggiarsi. Jasmine, invece, era un anno più grande di me, per questo non ho mai preteso che mi calcolasse del tutto, anche se mi sarebbe piaciuto avere più attenzioni da parte sua. Passammo la notte in bianco, fu la serata più bella della mia vita, fino a quando non crollammo ed entrammo nelle tende; erano le due in punto. Verso le cinque del mattino sentii un rumore, in seguito un altro e un altro ancora, così uscii per controllare e trovai Jasmine seduta intorno al falò priva di vita; il vento muoveva i suoi capelli neri come foglie in autunno. Mi avvicinai e lei si voltò: era in lacrime.  

“Ehi Jasm, tutto bene?” le chiesi, preoccupato. 

“Sì… solo… lascia stare” replicò, cercando di sviare inutilmente il discorso.  

Il mio sguardo cadde sulla sua gamba destra: era ingessata. 

“Che ti sei fatta?”  

“Davvero, niente sto be…”  

“Jasmine voglio sapere che è successo”  

Inizialmente mi guardò con uno sguardo incerto, poi rispose:  

“Ho sentito dei rumori stanotte, così mi sono alzata per controllare… ho visto una figura umana oltre gli alberi, non ho idea di chi fosse… mi sono avvicinata e mi sono resa conto che un albero mi stava per cadere addosso… non so chi l’abbia tagliato, so solo che quella figura mi ha osservata correre fino a quando non è crollato sulla mia gamba”  

“Mio Dio e come hai fatto a liberarti?”  

“È questo il punto Kevin, non l’ho fatto: ho urlato, strillato, ma nessuno mi sentiva. Credo di essere svenuta… fatto sta che mi sono risvegliata così”  

“Credi sia stato quell’uomo?”  

“Non lo so… non so più cosa credere”  

Per la prima volta la abbracciai, ma ahimè questo era solo l’inizio.  

Svegliai gli altri, del resto era ferita e partimmo dopo poco tempo: un giorno in più, un giorno in meno… che differenza fa?  

Arrivammo in città dopo tre ore ovviamente, poi la portammo in ospedale: fortunatamente non era nulla di grave, poiché ci è stato detto che la ferita era già stata medicata con cura oltre che ingessata. Si limitarono a darle una stampella per precauzione. Era tutto “ok”.  

“Visto che Jasm sta bene e tecnicamente abbiamo ancora un giorno di vacanza, vi va di farci un giro fuori città?” chiese Jenny.  

Ci sembrava giusto visto che tutti stavamo bene, inoltre solo io e Jasmine sapevamo della figura anonima.  

Non riuscii proprio a capire dove ci portò Mike. Era un luogo sperduto, piuttosto buio e cupo. Trascorse un paio d’ore, il delirio:  

“Ragazzi credo sia meglio andare… sta iniziando a piovere” notò Allison.  

“Sì hai ragione, meglio tornare a casa” concordò Jenny, annuendo. 

“Mike, dove hai parcheggiato la macchina?” domandai.  

Mike impallidì: se n’era dimenticato. 

Angelica Alfieri, I CS 

Un pensiero su “Lo scrittore di horror (capitolo 1)”

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